Di ritorno dall’Aspromonte. Diario di Maria Angela.

1.

In una splendida giornata di sole Bova si staglia alta sul pizzo della montagna, luce bianca delle case, luce azzurra del cielo. Non soffia un alito di vento. Nel tempo fermo del silenzio del primo pomeriggio arrivano gli echi di voci maschili, le risate festose di voci femminili, il calpestio di passi sul selciato. Dalla balaustra della chiesa di San Leo, a cui sono affacciata, un tappeto di tetti di tegole, qua e là dei comignoli fumanti, il degradare della montagna giù fino al mare. Le voci sembrano venir fuori dalle case senza che si veda nessuno. Un secchio sembra essere trascinato, non vedo da chi, mi raggiunge solo il suo rumore. Me ne sto qui in ascolto immaginando le azioni che sottendono questi suoni, mentre si alza un vento lieve, intiepidito dai raggi del sole che cominciano a scemare, che mi accarezza il viso. Respiro affannato per la salita e il passo svelto di chi vuol fare presto, arriva Turiana alla ricerca della vecchia casa della nonna. Si emoziona a vederla lì davanti a lei e restiamo in silenzio a guardare tutto intorno il panorama che non finisce di stupirci. Lei fotografa a più riprese. Nel silenzio gli scatti sono come delle schioppettate che si intrecciano con gli altri suoni quasi a formare una sinfonia, il ritmo sonoro della città che mi cattura.

2.

Tra sentieri brulli, a tratti colorati dalle sfumature degli alberi giallo ocra, verde scuro e verde più chiaro, tra panorami stretti ed ampi, tra questi sentieri disegnati dal tempo e calpestati da molti viandanti, la mente si snebbia e si inebria.

Sta dietro la porta finestra del suo minuscolo negozio di alimentari, la signora Antonietta. Luce fioca nello spazio occupato dagli scaffali affollati da generi alimentari, pacchi di pasta ordinatamente in fila, patatine, sale e così via. È vestita di nero, una gonna fino ai piedi, un piumino per ripararsi dal freddo della sera. Porta i lunghi capelli neri venati di bianco raccolti a ‘tuppo’. Il suo viso è meraviglioso, brunito, le rughe solchi del tempo. Occhi nerissimi pieni di vita. Ma che età ha Antonietta? Non saprei dirlo. Ero entrata per chiedere della frutta. -Non c’è fruttivendolo a Bova, mi dice con un tono quasi di scusa. Sta lavorando a ferri una sciarpa di lana nera. -Lo faccio così per passare il tempo, aggiunge. Mi offre una sedia e me ne sto a chiacchierare con lei, mentre cresce la sciarpa, quasi metaforico tessuto della sua vita, sentendola raccontare del marito, dei figli, dei nipoti, del grecanico di cui ricorda solo poche parole. La lascio malvolentieri, avviandomi verso il luogo dell’incontro serale dove si intrecciano altri fili con i compagni di cammino.

Provo a fare una sintesi della giornata. Le cose belle di oggi: il paesaggio, i profumi di terra e foglie, i sapori, le persone incontrate, quelle con cui ho scambiato emozioni, tamburelli e cornamuse, la resistenza e la passione dei ragazzi del posto.

3.

Spazio e tempo si dilatano, hanno il respiro più ampio. Tempo altro finalmente! Divento leggera lasciandomi alle spalle pesantezze a cui non sempre riesco a dare un nome. Ritmo scandito dai passi, dai silenzi, dalle condivisione con gli altri camminatori. Siamo in questo giardino delle meraviglie che è la tenuta di bergamotti di Ugo. Profumo di bergamotto frutto dalle qualità molteplici, curativo, asettico, afrodisiaco, inebriante. Camminiamo tra alberi carichi di frutti, noi stessi frutti odorosi e curiosi. Ugo ci parla di sogni e progetti, metamorfosi, cambiamenti. Lo fa con slancio ed entusiasmo, i due ingredienti che gli hanno permesso di portare avanti un progetto considerato “pazzesco”.

Ho pensato che a volte la ‘follia’ alla quale tutti ti inchiodano è la salvezza. Non seguirla significa non dar credito all’intuizione, alla spinta che può farmi trovare un cammino che mi corrisponda. Per farlo bisogna osare. Insieme agli altri è meglio.

4.

Grecia, antica
Amica.
Lentamente attraversiamo
La linea del tempo.
Insieme
Camminiamo,
Insieme tessiamo
Arazzi e
Nuovi
Orditi

Appare sullo sfondo Gallicianò, un paese quasi deserto, tante porte chiuse. Vien voglia di aprirle per vedere se balza fuori all’improvviso la storia che racchiudono. La piazzetta antistante la cattedrale si riempie del brulicare dei camminatori che la animano. Kalimera, kalòs ìrthete, ci salutano gli abitanti che incontriamo. Qui parlano grecanico. E in grecanico un signore dai lunghi capelli bianchi, con una sgargiante camicia ocra, esorta un piccolo cane ad andar via. Una signora mi invita a fotografare l’arco della sua casa. È un portale di pietra bianca con un bel mascherone in cima e due più piccoli ai lati. Una meraviglia! È gentile, mi offre il caffè. Dal piccolo bar si sente stappare una bottiglia dietro l’altra, un rumore forte, secco ad ogni tappo che salta. Birre un po’ speciali, al bergamotto, ristoro per molti. Con la visita alla minuscola chiesa greco ortodossa -ad ogni ingresso un tocco di campana- e alla mitica fonte d’acqua miracolosa -bere a piccoli sorsi- la linea del tempo è definitivamente superata: siamo nella Grecia del passato. Imbrunisce, i colori sfumano e le case si confondono con la montagna. Nella piazza l’aria è ferma.

Andando via penso al pieno che un paese che si svuota -50 anime - è riuscito a regalarci, alla caparbietà con cui le case e le poche persone coraggiose stanno aggrappate a questa montagna.

5.

Alba, prima dell’alba. Linee nette segnano il profilo delle creste intorno ad Amendolea dal profumo di bergamotto. Rigogliosi cespugli di gelsomini zeppi di fiori che a quell’ora sprigionano il loro profumo. Andando via ne colgo un rametto per riporlo tra le pagine del mio quaderno.

Linee nette del tramonto arrivando a Pentidattilo. Lungo cammino, seguendo le curve della fiumara argentata, corteggiando un filo d’acqua che scorre verso il mare, fiato corto in salita, ginocchio dolorante. A passi lenti, lento avvicinamento alle cose ed alle persone. Questo borgo arroccato, praticamente deserto, ha aperto le porte per noi, ha spalancato le finestre sulla bellezza rivelandoci la potenza del suo paesaggio. Magica Pentidattilo dal colore terroso si arrampica sulla montagna con le dita dritte verso l’alto e il palmo aperto verso il mare. Quasi una mano che congiunge cielo e terra.

Questo cerchio simbolico, come i cerchi della mattina prima del cammino, si conclude qui, per riaprirsi e richiudersi e poi ancora ed ancora verso altri sentieri.

Avvicinarmi letteralmente passo dopo passo a luoghi in parte noti mi ha permesso di osservarli da un altro punto di vista., di riscoprirli. Sono gli stessi luoghi, ma la sorpresa stupefacente di viverli e condividerli insieme agli altri mi ha messo nelle condizione di capovolgere il mio punto di vista. Così io sono la stessa. ma anche un po’ altra. Porto con me la sensazione che questi paesi abbracciati dai monti ci abbiano a loro volta affettuosamente abbracciati. Il mio abbraccio alla terra grecanica, a tutti i camminatori.

Paese terroso arroccato
Elevato.
Nei vicoli stretti
Ti accoglie
In cammino.
Discreto
Al viandante il saluto:
Tu sei il benvenuto.
Ti voglio
Incontrare.
Lasciati andare
Or che sei qui.

Maria Angela Monteforte

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Redazione CdC
1 dicembre 2017