Il platano caverna di Curinga

Rubrica: Le bocche fiamminghe. Grandi alberi scavati dal Tempo

Autore: Tiziano Fratus

Stazione 5: Il platano caverna di Curinga
Regione: Calabria
Provincia: Catanzaro
Comune: Curinga

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5 agosto 2016

Le bocche fiamminghe. Stazione 5: Il platano caverna di Curinga. Autore: Tiziano Fratus

Il poeta americano Robert Frost (1874-1963) scriveva che la felicità ripaga in profondità quel che manca in lunghezza. Emil Cioran (1911-1995) rilanciava il concetto scrivendo che l’uomo acquista in coscienza ciò che perde in esistenza. Così, l’uomo che attraversa il paesaggio in cerca di alberi datati, annosi, giganti o alla fine dei giorni, apprende che più profondi sono i segni e più magnificenti, sacrali e suggestivi sono gli incontri che potrà fare.

Le bocche fiamminghe. Stazione 5: Il platano caverna di Curinga. Autore: Tiziano Fratus

L’Italia è un paese di grandi alberi, e fra questi un posto particolare la occupano i platani. Esistono tre specie di platano. I più antichi, platano orientale (Platanus orientalis), sono stati importati dai romani e dai greci oltre duemila anni orsono, ne parlavano Teofrasto e Plinio Il Vecchio (nel dodicesimo libro del suo Naturalis historia, segnalava che i primi vennero piantati sulla tomba di Diomede, alle isole Tremiti). Alcuni di questi sono giunti fino a noi, come il grande platano di Caprino Veronese, detto dei Bersaglieri, il maggiore delle regioni settentrionali, quindici metri di circonferenza del tronco e almeno mezzo millennio di esistenza; il platano marchigiano detto dei Piccioni, alle porte di Ascoli Piceno, 8,7 metri; i grandi platani di Roma, costellano una valletta del parco di Villa borghese, e la Scalinata del Ferdinando Fuga, all’Orto botanico. D’importazione nord-americana, seicentesca, è il platano occidentale (Platanus occidentalis), di cui un esemplare mastodontico vegeta alle porte di Alessandria, secondo leggenda fu piantato da Napoleone nei giorni festosi successivi alla vittoria della battaglia di Marenco. C’è chi suggerisce che questo sia invero un ibrido, fra le due specie, dapprima chiamata platano spagnolo, pare che i primi ibridi naturali siano emersi nella penisola iberica, quindi platano a foglia di acero, o platano londinese, poiché fu ibridato nei vivai inglesi a inizio ‘700. La capitale britannica ne è invasa. Di questa specie appartengono i grandi platani bicentenari e posteriori all’Unità d’Italia, quali i maggiori di Milano, Torino, Firenze e Bologna.

Le bocche fiamminghe. Stazione 5: Il platano caverna di Curinga. Autore: Tiziano Fratus

In Calabria ho condotto diverse campagne di alberografia. Due in particolare sono state esaltanti. La prima in Sila, la seconda nel Parco Nazionale del Pollino. È durante una di queste campagne che ho incontrato il maggiore platano d’Italia, un platano caverna, dalle dimensioni impressionanti: oltre venti metri di circonferenza del tronco alla base, diciotto a petto d’uomo; c’è chi sostiene che abbia mille anni e sia stato messo a dimora da un monaco, del vicino Eremo di Sant’Elia, nel corso dell’XI secolo. Quel che più impressiona viaggiando nel territorio calabro è la gestione dell’edilizia, invero talora scioccante. Penso alla visita alle terme abbandonate di Caronte, alle porte di Lamezia Terme, che potrebbero rappresentare un impulso turistico importante e invece sono emblema, insieme allo stadio finito e mai utilizzato, di un realtà tenuta ostaggio da ciò che non sappiamo incarnare. Altrettanto stupefacente è il mutamento repentino di paesaggio: si transita dai mille e più metri innevati della Sila alle spiagge del lametino, dalle selve di pino laricio ai nuovi boschi di eucalitto.

Le bocche fiamminghe. Stazione 5: Il platano caverna di Curinga. Autore: Tiziano Fratus

Il piccolo comune di Curinga è appollaiato sui colli a mezzogiorno di Lamezia. Un amico mi accompagna in pellegrinaggio al maggiore platano d’Italia. Superato il centro del paese si raggiungono i resti dell’eremo di Sant’Elia, si parcheggia ad una curva che punta a sinistra, si scavalca il guardrail e s’imbocca un sentiero sterrato, in discesa, protetto da un bosco di pini neri di proprietà del Consorzio di Bonifica. Dopo dieci minuti di cammino, accompagnati da una pioggia fitta e costante, vediamo sbucare in un lampo di luce le branche superiori di questo improvviso gigante, cresciuto in costa, in una posizione inusuale per un platano orientale. Sarà per la sua collocazione in mezzo al bosco, sarà per le sue proporzioni mastodontiche ma è di certo uno spettacolo che Madre Natura ha deciso di regalare agli occhi e ai sensi di noi uomini. Mi ricordo di alcuni grandi platani visti in Tessaglia e in altre zone della Grecia, lo stato con i maggiori esemplari del continente. Il tronco è cavo, le radici sono “colate” in basso per metri e metri. Gli si gira intorno e si entra dentro la caverna legnosa: in due siamo stati comodi all’interno, in piedi, sgomenti. Segni di fuochi accessi a ripetizione. Alcune carie hanno prodotto delle finestrelle naturali da cui sbirciare. È emozionante stare qui dentro, riporta a fior di pelle la sensazione di sicurezza e al contempo di eccitazione che provavo da bambino quando stavo dentro la mia piccola tenda degli indiani, o in cima ad alcune “case” (meglio stanzucole) inchiodate su ciliegi o noci. Ritorno sotto l’acqua e raggiungo la parte retrostante, da cui posso ammirare la crescita del tronco che si apre in due branche primarie che a loro volta si sdoppiano. Sei ramificazioni sottili e lunghissime dipartono dal tronco, a varia altezza e si dilungano nello spazio antistante l’albero. La pioggia ha reso più luminoso il giallo della corteccia. Tornando in paese ci fermiamo accanto all’edicola della Madonna del Soccorso, lungo la SP 114 per Acconio: qui resiste un vecchissimo pioppo nero con una spaccatura “murata” che si apre in tre grosse branche capitozzate. La misura del tronco è sorprendente: 10,8 metri. Ovvero il maggiore pioppo d’Italia, sebbene al termine del proprio ciclo naturale. Il paesaggio italiano offre ancora omaggi inaspettati.

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