Eat the rich

Il tema è delicato. Tocca inevitabili suscettibilità. Ma è, per onestà intellettuale, ineludibile.
Ne va della nostra sopravvivenza come specie umana.
“La lotta di classe esiste e l’hanno vinta i ricchi”. Questo è il titolo dell’ultimo libro del sociologo Marco Revelli, edito da Laterza. Vi si dimostra, con dati incontestabili, che il divario economico negli ultimi decenni fra l’1% della popolazione mondiale, che giustamente viene chiamata “i ricchi”, ed il rimanente 99%, che giustamente viene chiamata “i poveri”, è in aumento esponenziale. Senza regole, con un liberismo di mercato selvaggio, con il potere usato senza scrupoli e sempre più concentrato in poche mani, con il profitto fine a se stesso come unica religione, non solo la giustizia sociale va in frantumi, ma lo stesso equilibrio ecologico del pianeta è via via compromesso.
Come si fa a riempirsi la bocca della parola “sostenibilità”, quando non si pongono limiti di sorta alle ingordigie delle classi dominanti? Chi elude la questione, o vive nel mondo dei sogni o, più realisticamente, è al servizio, come la maggior parte dell’informazione ad esempio, di chi ha in mano il bastone di comando.

L’amico poeta mantovano Stefano Iori ha di recente messo in scena una pièce teatrale intitolata “Eat the rich”. In maniera allegorica, vi si descrive la nascita spontanea di un movimento di rivolta internazionale, in cui i cittadini, stanchi di subire l’atteggiamento predatorio da parte dell’oligarchia che gestisce a proprio esclusivo vantaggio l’economia planetaria, insorgono e risolvono drasticamente il problema: cominciano ovunque a “mangiare i ricchi”. Credo non ci sia altra soluzione possibile. Non intendo che diventiamo cannibali, è ovvio. Intendo che è arrivato il momento di concepire delle radicali e concrete priorità che diano risposte “vere” alle complesse problematiche che attanagliano l’umanità dei tempi moderni. Globalizzazione non può più essere intesa come libertà di devastare il pianeta. Occorre fare nascere un’autorità morale e politica che sappia dire e fare applicare delle regole atte a salvare tutti noi. Guardare avanti, insomma, con spirito costruttivo. Uscendo dalle frustrazioni e dal senso di impotenza verso dinamiche che paiono più grandi di noi. Riflessioni tipo quelle sui “commons collaborativi”, di cui parla Jeremy Rifkin nel suo ultimo libro (“La società a costo marginale zero. L’internet delle cose, l’ascesa del commons collaborativo e l’eclissi del capitalismo” – edizioni Mondatori), vanno in questa direzione.

Alla marcia della pace Perugia – Assisi di quest’anno, la mia compagna ed io abbiamo indossato magliette con sopra scritto: “aboliamo la guerra, come la schiavitù e la pena di morte” e “Papa Francesco scomunica chi fa la guerra, come i mafiosi”. Sono convinto che bisogna tornare ad affermare valori alti e condivisibili dalla maggioranza delle persone. Abolire la guerra è possibile, se la facciamo diventare un tabù, un divieto collettivamente condiviso, necessario per evitare l’autodistruzione di noi stessi e del mondo intero. Abolire la povertà è possibile, perché le risorse, alimentari e non, possono bastare per tutti, a patto che le ricchezze accumulate da pochi vengano vietate per legge e ridistribuite, in nome di un elementare diritto ad una serena esistenza per ogni essere umano della Terra. Abolire tutto ciò che mette in pericolo l’ecosistema in cui siamo immersi, la biosfera, è possibile, in nome della sacralità della vita stessa, in tutte le sue manifestazioni. Educarci alla collaborazione, alla cultura, ai sentimenti ed all’amore, è possibile, in nome del riconoscimento della nostra natura profondamente empatica. È ora che queste ed altre parole d’ordine ricomincino a circolare nelle nostre discussioni, uscendo dagli sterili inganni consumistici, che ci vengono propinati per riempire il vuoto esistenziale che abbiamo dentro.

Il 2015 sarà l’anno dell’Expo universale a Milano e proporrà il grande tema dell’alimentazione. Vogliamo non essere ipocriti, per favore? Se tutti gli abitanti del pianeta debbono potere sfamarsi, dobbiamo agire affinché chi accumula e spreca venga messo in condizioni di non nuocere più al bene comune. Invece sappiamo perfettamente che chi detta le politiche in campo agroalimentare sono le grandi multinazionali del settore. Che avranno una vetrina eccezionale all’Expo per millantare le loro strabilianti soluzioni. Per questo trovo importante proporre fin d’ora un contro-logo in vista di questa manifestazione. “Eat the rich” sta a dire che se vogliamo mangiare tutti, prima dobbiamo non permetter di far danni ai veri affamatori, i ricchi appunto.

Il motivo principale per cui ho iniziato a camminare, assieme a tanti altri, in modo consapevole, è per me legato a un significato rivoluzionario. Non accetto il pensiero dominante dell’efficienza e della velocità, né di essere un ingranaggio programmato da altri. Camminando esco dalla schiavitù della tecnica e dal condizionamento finalizzato al consumo, recupero il mio movimento primario, sento corpo e sensazioni, ritorno a contare sulle mie gambe, decidendo io la direzione in cui andare… E medito. Medito sulle sorti mie, dei miei simili e del mondo. Ricomincio a sperare che sia possibile un cammino di crescita e felicità comune.

Guido Ulula alla Luna

5 février 2015