Su camminatori e segnavia

Lettera di Tiziana Bertoldin (Venezia). Seguita della risposta di Luca Gianotti (Compagnia dei Cammini).

« Nel 1973 alcuni amici sui 18-20 anni del CAI Belluno vanno volontariamente lungo i sentieri e le ferrate del Monte Schiara, la dolomite che sovrasta Belluno, a ripristinare le tabelle indicative del CAI lungo i diversi itinerari, e verificano lo stato di praticabilità di sentieri e vie ferrate (la Zacchi lungo la parete sud, la Berti dal bivacco Dalla Bernardina a Cima Schiara, la ferrata del Màrmol, lungo il lato est della parete della Schiara, dall’omonima forcella, incrocio col Monte Pelf, al Rifugio Settimo Alpini, il sentiero attrezzato Sperti, dal bivacco Dalla Bernardina, lungo il lato ovest della Schiara, dietro le Pale del Balcòn, e discesa di nuovo al Rifugio Settimo Alpini).
Nel 1979 compiamo un’escursione dalla Val Canzòi a Casera Cimònega, e da qui al Bivacco Feltre, ai piedi del Sass da Mura, dolomite delle Vette Feltrine, dove pernottiamo. Il giorno dopo, pur con tempo piovoso e temporalesco, raggiungiamo Forcella Dell’Omo, a quasi quota 2000 m, con sentiero ben segnato. Da qui, pur con traccia a volte resa incerta dalla nebbia, scendiamo ai piani di Erera, dove veniamo accolti dal malgaro che accudisce le mucche all’alpeggio nelle Casere di Erera Brandòl. Poi la discesa alla Val Canzòi, al punto di partenza.
Nel 1992 apprendo che il sentiero per Forcella Dell’Omo non è più praticabile, giudicato pericoloso. Compiamo un’escursione da Roncòi (Cesiomaggiore) lungo la Val Scura fino al Passo Cìmia. Da qui aggiriamo dal lato nord il Monte Pizzocco fino quasi alla sua base, cercando una Casera Cìmia, segnata sulle carte, di cui però si trovano solo i ruderi. Dalla base del Pizzocco risaliamo alla Forcella Intrigòs, e all’inizio del sentiero troviamo una scaletta in legno quanto mai pericolante, in stato di abbandono, posta in un tratto un po’ impervio di roccia, che superiamo con qualche precauzione. Da Forcella Intrigòs scendiamo al Bivacco Palìa e da qui nuovamente a Roncòi.
Tornati a Feltre lamentiamo con l’allora presidente del CAI lo stato di abbandono dei sentieri, ci viene risposto che non ci sono né soldi né disponibilità per farne una buona manutenzione, chi li percorre lo fa a proprio rischio e pericolo.
Da molti anni non percorro i sentieri delle Vette Feltrine. Leggo tuttavia in rete che questi itinerari sono descritti, e vi è consigliato in molti casi l’uso del GPS, evidentemente le segnalazioni dei percorsi sono incerte. Nel frattempo gli alpeggi delle Casere di Erera Brandol sono stati abbandonati: nel 1997 in piena estate il luogo era deserto e pareva in disarmo. Ora non so se è stato trasformato in luogo di accoglienza per escursionisti, nell’ambito del Parco delle Dolomiti Bellunesi.
Leggo sul bollettino online della Compagnia dei Cammini quanto sia apprezzabile non segnare i percorsi, quanto invece sia apprezzabile “perdersi”. Sembra che piazzare o ripristinare un segnavia sia cosa disdicevole. Tuttavia ho visto coi miei occhi Luca Gianotti apporre adesivi gialli e neri lungo il percorso della Via Cretese: non vi ho trovato nulla di male. Far sì che il viandante o il camminatore non perda la strada e non corra inutili rischi mi pare una cosa buona e degna di rispetto. Perché mai “perdersi” dovrebbe essere considerato un valore? Immagino sia una provocazione, non priva di narcisismo, da parte di chi, se pure si “perde”, sa anche benissimo come ritrovare la strada. Da Pollicino in poi ogni camminatore cerca di NON perdersi… e i rischi connessi al perdersi sono evidenti in avventure sfortunate come quella di Chris Mc Candless descritta nel libro “Nelle terre estreme” di Jon Krakauer.
Lo stesso Luca Gianotti coi suoi frequenti richiami alla consapevolezza del camminatore, sembra voler mettere in guardia da certi rischi. Il camminatore inconsapevole è meravigliosamente e drammaticamente descritto nel racconto “Allestire un fuoco” di Jack London. Colui che si perde rischia di perdere anche sé stesso, cosa non augurabile: accade a Kit, la protagonista del “Tè nel deserto”.
Quindi non comprendo l’elogio del perdersi, se non appunto come una provocazione. Trovo che mantenere sentieri e vie ben segnati e sicuri, da parte di chi li conosce, o li ha sperimentati per primo, sia un segno di rispetto per coloro che desiderano condividere la sua esperienza. Trovo che non ci sia nulla di disdicevole nel “sapere dove si va”. Tutti noi tra le altre cose condividiamo credo un minimo bisogno di sicurezza, e perché poi questo bisogno debba essere combattuto, non mi è chiaro.
Camminatori espertissimi come Sylvain Tesson possono magari permettersi il lusso di battere i “sentieri neri”, ma le persone “normali”, che lavorano, vivono vite non votate al Cammino, alla viandanza, all’ascesi, etc., e che comunque aspirano a una maggiore libertà, senza avere il tempo di cercare mappe nelle biblioteche o negli archivi, e desiderano un maggiore contatto con la natura e magari una vicinanza alla “wilderness”, hanno comunque credo il diritto di sperimentare tutto questo in sicurezza e con consapevolezza, grazie anche a chi ha più esperienza e competenza di loro. »
Tiziana Bertoldin - Venezia

Redazione CdC
24 May 2018

Foto: Alessandra Beltrame

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