Agitu

Agitu Ideo Gudeta

Avevamo invitato Agitu Ideo Gudeta a Compagni di Cammino, la festa lenta dei viandanti di Feltre del 2019. Agitu non era potuta venire, doveva venire con i suoi formaggi di capra per farli assaggiare a tutti noi. Impegni di lavoro. Ci dispiacque molto, perché la sua storia ci era piaciuta tanto. Poi come sapete Agitu è morta. Un caso di femminicidio. Ma di più, con quel gesto si è fermato un esempio virtuoso di recupero della montagna, di imprenditoria creativa. Agitu rimarrà nei nostri cuori.
La ricordiamo con una riflessione molto potente della scrittrice Djarah Kan sulla morte di Agitu Ideo Gudeta e di come è stata rappresentata dai media.

Le parole giuste.

Agitu Ideo Gudeta non era la “pastora e rifugiata Etiope simbolo dell’integrazione” come hanno titolato Repubblica e altre testate giornalistiche.
Agitu era un’imprenditrice. Dirlo, ripetercelo, serve a rendere reale, il fatto che chi lascia il proprio paese in quanto rifugiato, non resta un soggetto debole e passivo tutta la vita. Anche perché cercare rifugio è un atto politico di grande forza e coraggio.
Il razzismo che ha subito in vita, come il sessismo, sono le conseguenze del vivere su questa terra, in quanto donna e nera, ma non sono tutto. Intorno all’odio e ai pregiudizi c’è una vita da vivere, ci sono le ambizioni, c’è la progettualità, il sogno, le aspirazioni, il prepararsi costantemente a quello che verrà.
Quella donna pensava di continuo a come fare meglio le cose, e ci riusciva! Diamine se sapeva fare bene il suo lavoro. Lo so che in questo Paese pensare a una donna nera, o ai rifugiati, o ai migranti, significa dire “vittima di qualcosa” ma Agitu con la sua vita, ci ha voluto dimostrare che le persone esistono anche al di là dei soprusi che subiscono.
E quello che resta dopo la violenza, gli schiaffi, gli sputi, l’esilio, è la parte più coriacea, luminosa e imprevedibile di noi.
Certo, il suo assassino era un suo dipendente, “un africano come lei”, titolano tra le righe sta mattina, parecchi giornalacci. Io invece, ci vedo solo l’ennesimo uomo, che pregno di odio, soprattutto per le donne, è riuscito a somigliare terribilmente, nonostante la pelle, la lingua e le origini diverse, a migliaia di altri uomini, italiani e non, che ogni giorno abusano e spengono le donne.
Soprattutto quelle come Agitu.
Che sia ghanese o italiano, poco cambia. Non mi avrebbe fatto stare meglio o peggio in nessun caso. Perché sono una donna e non mi illudo che il maschilismo abbia una razza.
E se qualcuno si è sentito sollevato dal fatto che il suo assassino fosse un uomo, anche nero, è parte del problema.
Quanto era forte questa donna.
Così forte che mi sembra ancora viva, mentre ci dà lezioni su come si racconta una storia.
Djarah Kan (dalla sua pagina Facebook)

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Redazione CdC
5 febbraio 2021