Di buon passo nell’Appennino che resiste /12
Concludiamo la prima parte del viaggio di Salvatore.
27 maggio 2025
Gerace, città dalle cento chiese — La pioggerellina è diventata pioggia battente fino a Locri. La statale Jonica è una strada stretta e molto pericolosa, soprattutto per i ciclisti. Ho incontrato Peter, un cicloviaggiatore austriaco diretto in Sicilia. Lui scende, io salgo.
Attraverso i paesi di Brancaleone Marina, Africo Nuovo, Bianco. Supero la deviazione per San Luca e, all’altezza di Locri – la greca Locri Epizefiri – svolto verso l’interno. È ancora Aspromonte.
Oggi mi fermerò a Gerace, che dal 2015 è tra i borghi più belli d’Italia: un’isola arroccata sullo sperone miocenico, recentemente assegnataria di un finanziamento di 20 milioni di euro nell’ambito del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.
Nel maggio del 1777, un nobile inglese, tal Henry Swinburne, studioso di letteratura e arte, intraprese un viaggio in Calabria a cavallo. Sull’onda del rinnovato interesse per l’antichità classica, non si esime dal riflettere sulle cause economiche, sociali e antropologiche che avevano generato l’immenso divario fra l’abbondanza delle risorse naturali e il degrado dell’ambiente umano, dove incuria, abbandono e inefficienza regnavano sovrani.
Il 17 maggio arrivò a Gerace. Nel suo libro A cavallo in Calabria tra antiche rovine, descrive una scena impressionante: una donna in preda a convulsioni, trascinata dalla folla verso la chiesa per essere liberata dal maligno:
“Era una persona di mezza età che appariva in preda a forti convulsioni… Poiché il prete si rifiutava di intervenire, alcuni astanti cominciarono a strattonarla… Quasi millecinquecento donne, che pretendono di essere tormentate da questi spiritelli, si recano ogni anno a Soriano per guarire dalla possessione demoniaca guardando un ritratto di San Domenico… Con tale pretesto riescono a ottenere dai loro tirannici mariti il permesso di fare questo piacevole pellegrinaggio.”
Al mio arrivo trovo soltanto un gran numero di turisti alemanni. Nessuna traccia di indemoniate. Mi fermo al bar Tocco e ordino una granita. Giuseppe Rinaldis, il proprietario, si avvicina, mi chiede del viaggio e mi invita ad assaggiare la granita più famosa della Calabria: quella ai cinque agrumi – arance gialle e sanguinello, limoni, bergamotto e mandarini marsilino – a dir poco sublime.
Gerace è ricca di storia, di chiese, oltre 100 prima che venissero distrutte in parte dai terremoti, di palazzi nobiliari. Le strette viuzze medievali, i sottopassi, i ricchi portali e le piazzette offrono al visitatore scorci impareggiabili. La cattedrale, tra le più importanti costruzioni normanne del Meridione, domina il centro storico.
Gerace è colta. Ne parla con entusiasmo Simone, che lavora al Palazzo Sant’Anna. Laureato in Lingue e Letterature Straniere Moderne, con una tesi su Gerace e l’Inghilterra vittoriana, ha deciso di restare nel proprio paese.
Gerace conta circa 2.300 abitanti. In tre anni ne ha persi 100. Nel 1777 ne contava poco più di 3.000. Il centro storico ne ospita oggi molti di meno.
Il flusso turistico è costante, ma non ancora abbastanza qualificato, mi spiega Simone.
La cooperativa “Aracne”, composta da sole donne, mantiene viva la tradizione della filatura del lino ricavato dalla pianta della ginestra.
Con i fondi del PNRR, Gerace punta a diventare l’attrattore culturale per un turismo di qualità nella Locride e nell’area grecanica.
Ci riuscirà? Riuscirà a fermare il lento, ma inesorabile, spopolamento? Il turismo è davvero l’unica panacea per ripopolare un paese?
I tecnici sono al lavoro.
Salvatore Capasso

