Frammenti di trekking bambino. Momenti da guida

Racconto allegro di Massimo Montanari

Sono le 7 di mattina non è certo prestissimo; tuttavia poi, neanche tardi.
Il sole è alto perché è estate. Ma ancora un po’ assonnato poiché anche lui non è proprio che sia alto sopra il crinale.
Tu comunque stai ancora in quel limbo di giornata che volge al rilassamento prima di iniziare a erigerti e affrontare il mondo anche oggi. Almeno il tuo di mondi ha ancora da chiederti nome e cognome.

Redazione CdC
7 febbraio 2013

Un urlo irrigidisce il prato e la tua tenda sobbalza!
I bambini sono già svegli che di per sé non sarebbe male visto che bisogna prepararsi.
Ma i bambini oltre che svegli sono già li che corrono tra tende e materiale del campo.
Anche gli asini nel loro sicuro recinto stanno a guardare e faticano a capire perché quei piccoli zanzaroni a due gambe saltano e urlano in uno spreco di energie oltre misura.

Ti alzi.
Maledici il mondo che corre. In un modo o nell’altro corre. Ma non corre (piano) come vorresti tu, che sei sul binario di quell’andazzo che vorresti riservato all’essenza di un lento posare.
Esci dalla tenda e prima del primo respiro, lì fuori hai un’orda di bocche spalancate che ti guardano urlanti, strillanti, vocianti, casinanti e petulanti.
E non hai neanche tempo di capacitarti che tutto ciò non è un incubo, perché l’incubo sparisce quando ti svegli invece tu ora sei sveglio e, il blob di voci assordanti è li, che ti guarda e ti dice: sono vero.

Ecco il primo bambino che arriva. Piange e strilla. E dice:
- Marco mi ha dato un calcio
- No è lui che lo ha dato a me (questo ovviamente è Marco)
Poi arriva lei. La Sabrina di turno.
- No! Io c’ero (chissà perché la Sabrina di turno c’è sempre. È sempre dappertutto). Ho visto tutto è stato lui (addita) che lo voleva dare a lui (addita Marco) ma lui (sempre Marco) glie lo ha dato prima, e lui…
Lui! Già. Lui è lui.
Tu non sai cosa è questo lui.
Ma sai cosa sei tu.
Sei un adulto imbestialito, già furente prima che il tuo cervello possa pensare a un risveglio.
Ma non è finita la via lastricata di penitenza è appena iniziata.
Perché arriva l’altro, l’amico degli amici che ti chiede cosa si mangia (c’è sempre quello che ha sempre fame. Sempre) e mentre te lo chiede arriva quell’altro che ti chiede se hai visto le sue ciabatte.
Ma certamente che le ho viste!
La guida vede tutto. Ci mancherebbe.
Lo mandi via (garbatamente giuro) lo mandi a cercare il posto dove le ciabatte stanno: di sicuro sotto la tenda (è un classico) anzi sotto ma proprio nel centro. Così prima di metterle devi smontare la tenda).
E naturalmente mentre va girovagando per il campo a piedi nudi inciampa in una sasso.
Quindi ora non hai solo un bimbo petulante piangente, ma hai anche un bimbo ferito, col ditone da medicare.
Ovviamente non sei ancora pronto a ricevere disgrazie a rotoli quindi non hai a portata di sacco a pelo “il tutto-soccorso-tutto” tutto.
Ma lo devi cercare.
Quello frigna. Non si è fatto niente, ma la frignata porta ad essere al centro dell’attenzione, con un share di ascolto pressoché totale.
Mentre inizia il toto infortunio che va dal “graffio profondo” al “ti devono segare il piede”, cerchi un cerotto mentre speri di trovare al più presto quel liquido miracoloso e santo che si chiama Amuchina; praticamente inutile, ma fa tanto miracolo. E ai bambini piace molto.
Medichi il moribondo nel momento esatto in cui altre due bambine si litigano la corda dell’asino
- perché quella fucsia è la più bella!
E quando si cammina si fa più bella figura con l’asino dalla corda fucsia.
Ovviamente. Ogni camminatore vuole una corda fucsia! Suvvia.
E consigliata in tutti i manuali dei trekker, la corda fucsia.
Che diamine!

Ora tutto questo che può sembrare un caos senza ritorno si svolge nell’arco di qualche minuto.
Perché i viaggi a piedi con i bambini, le avventure nella natura con i bambini sono quanto di più imprevedibile si possa pensare. Ogni momento è un momento!
Quindi tu che sei guida, sei il centro di ogni momento, sei la piazza, l’agorà dei desideri di tutti, e quindi le tue lancette scorrono in un entità parallela di tempo che è diversa. Ti sembra sia passata un era, e invece sono minuti!
Ma invecchi in quei minuti. Perché tu adulto sai che non potrai mai reggere l’onda d’urto energetica dei bambini, e quindi hai una sola possibilità.
Una.
Essere bambino anche tu.
Allora tutto cambia, entri in una dimensione temporale diversa dove le cose acquisiscono un senso diversamente bello.
Camminare con i bambini è come un viaggio in un universo parallelo in cui la meta finale non conta nulla poiché è tutto quello che succede nel “durante” che assume un senso illogico ma meravigliosamente libero.
Il camminare bambino ha una variabile che a ogni passo capta sensazioni diverse e complete. Un sasso diventa una storia a sé e assume l’aspetto della narrazione in loco. Un piccolo fiore diventa un’avventura, e tutto quello che si trova nel viaggio è una valigia dei sogni, un abbecedario in cui le parole si cambiano per assumere un aspetto creativo e artistico al contempo.
I bambini sanno intercedere negli angoli nascosti della natura e guardano quello che i nostri occhi hanno abbandonato da tempo.
Gli occhi bambini guardano i particolari.

Con questi presupposti inizi a sorridere e mentre si prepara a sgombrare il campo la caoticizzazione del momento raggiunge l’apice.
Ovviamente le tende vengono smontate in un disordine tale, che le palerie si confondono, e i teli vengono mescolati. Un classico.
E ovviamente succede anche che quando tutti hanno inserito le tende nei sacchetti, uno, c’è sempre un “uno” che ha lasciato l’apparecchio dei denti nella tasca della tenda! Quale tenda? Ecco bella domanda.
Si aprono tutti i sacchi di contenimento tende e tutto torna a essere sparso nel campo. L’apparecchio dov’è? Eccolo, trovato dopo circa venti muniti di ricerca nella tasca… dello zaino!
Si ricompatta con calma il tutto e prima di caricare il materiale sugli asini (quella con la corda fucsia naturalmente è rimasta là, a guardare i “suoi” asini e nemmeno sfiorata dal senso di colpa per non partecipare alla ricerca fa si che sia passata nel dimenticatoio questa sua capacità di imboscamento preventivo) si inizia a pulire il campo dagli escrementi cartacei e immondizia varia (solitamente contenuti se la guida è brava a insegnare la parsimonia del materiale da consumo).
Quello che ne segue è l’impietoso iter della guida che in questo momento in poi diventa il Gran Mogol capace di aizzare furenti battaglie veritiere, e in quanto paladino della verità porta a conoscenza del suo popolo il vero che c’è.
Con una mano alzata brandisce un paio di mutande trovate nel mezzo dello smantellamento e chiede di chi sono.
Il silenzio assoluto è la risposta della vigliaccheria bambina.
Dopo le mutande orfane, è la volta di magliette, e altri capi di vestiario che miracolosamente non sono di nessuno e finiranno a rimpinguare la cesta degli oggetti persi e solo a fine trekking si saprà la verità quando le mamme nel prelevare i loro smemorati pargoli diranno finalmente il nome del titolare di ogni vestiario, intimo o meno che sia.

La partenza è lenta, se è pur vero che insegniamo ai bambini il valore della lentezza, questo passaggio direi che viene messo in pratica costantemente.
Si parte, la carovana inizia il suo percorso e dopo cinquanta metri, giuro, cinquanta cortissimi metri ecco la voce che tutti noi guide con bimbi a seguito temiamo:
- Massimo, mi scappa la cacca!
Ecco. Ci siamo. Esigenze corporali che arrivano come fulmine e sempre un attimo dopo che sei partito!
Eccolo li, il pargolo che reclama l’evacuazione e tu hai un bel da chiedere “ma perché non l’hai fatta prima?”. Se al cuor non si comanda figuriamoci al…
La carovana aspetta e la guida con ansia spera che la defecazione in sé sia un caso isolato e non contagi il gruppo.
Si riparte.
Il sentiero avanza verso quella che si presenta come tappa nella sua normalità ovvero sono le 10.30 e c’è da portare un gruppo di bambini (solitamente circa 20) e 5 asini alla meta.

La metafora del viaggio a piedi con i bambini tiene il paragone con quella che è una partita di Rugby.
Questo meraviglioso sport potrebbe essere preso come esempio per quello che succede in un viaggio con i piccoli esploratori.
Noi siamo un gruppo che avanza, bisogna sempre guardarsi indietro per andare avanti e spingere il gruppo oltre la linea di meta.
A ogni avanzare c’è sempre un ostacolo, un imprevisto, in cui l’avversario di turno è rappresentato dalle avversità da superare.
La palla da portare avanti sono le nostre gambe da spingere oltre l’obbiettivo.
Il cammino è educativo, il cammino fa diventare grandi, perché le difficoltà si superano se si fa squadra tutti insieme, nessuno escluso. Se un membro del gruppo rimane indietro, siamo tutti indietro. Perché l’avanzare senza qualcuno lasciandolo alla mercé delle sue difficoltà lascia un pezzo di gruppo in quella difficoltà.
E un solidarizzare con il prossimo, con il tuo compagno di camminata (di squadra) solidarizzare con lui che porta a capire l’importanza del gruppo e dell’essere inserito in un contesto dove l’aiuto è una valorizzazione della reciprocità.
Con questi pensieri che ti rimbalzano in testa controlli che il gruppo sia in cammino, che sia tranquillo e possa così iniziare un’altra giornata di avventura, di crescita, e di entusiasmo per quello che si andrà successivamente a scoprire durante la tappa.

Sono passati cinque minuti dalla partenza, e… tu lo sai che arriverà.
Certo che arriverà la “domanda delle domande” quella frase messa li, ma che ti fa un effetto devastante sulla tua capacità psichica di restare calmo.
- Massimo quanto manca?
Ecco, l’ha detto!
Il “quanto manca” è una frase che echeggia solitamente un centinaio di volte durante una camminata con i bambini.
Alla ventesima volta la tua mente somatizza il tutto e non reagisce, lasciando passare nell’aria quelle parole pronunciate da bocche brontolanti.
Ma la prima volta ti fa sprofondare in un impulso nervoso e succede che in quei momenti ti chiedi del perché lo hai scelto questo mestiere. Perché non hai optato per portare in cammino adulti, persone che sappiano cogliere dalle tue parole la bellezza di un armonia con la natura nel silenzio dei passi, ascoltando rumori del vento e camminando con saggezza e serietà.
Poi ti passa, e lo sai perché lo hai scelto questo mestiere meraviglioso che ti fa palpitare il passo e sobbalzare il cuore.
Perché passi le tue giornate insieme asini e bambini, perché vedi crescere dei piccoli uomini/donne, li vedi nei loro momenti di contatto con la realtà e un mondo che li aspetta per poterli convergere verso le strade del diventare adulti di un domani.
Perché li vedi emozionarsi davanti a un tramonto, un sole che nasce li sopra a un crinale e perché li vedi accarezzare gli asini, li vedi nella loro dolcezza e bellezza di esseri semplici nella sua complessità.
Sei consapevole che un domani quando cammineranno soli nelle strade della vita saranno uomini che hanno conosciuto un modo diverso di vedere le cose, e tu hai contribuito nel tuo piccolo infinitesimo spazio a far crescere in loro la bellezza del mondo intorno.
Li vedi camminare e guardarsi intorno e ti commuovi e pensi che davvero ne vale la fatica e il penare.

Il sentiero continua, la giornata (della guida) è ancora lunga.
Dopo un’ora di cammino c’è già un considerevole gruppetto che recrimina la merenda; il sindacato degli stomaci sempre vuoti cresce a ogni passo.
Al primo spazio tranquillo fai fermare il gruppo all’ombra di una quercia.
Legati gli asini, ti sdrai un attimo appoggiato al tronco di quella quercia.
Non fai in tempo a cercare quell’attimo, quel piccolo breve momento di tua personale solitudine che almeno in quattro ti vengono a sedere vicino.
Sei una specie di carta moschicida.
Li attiri. E ti si appiccicano con quel sudore e quella sporcizia racimolata nei minuti precedenti, una meraviglia in sé!

Non esiste la solitudine della guida in questo mestiere.
Li guardi, loro hanno gli occhi svegli.
Il tuo cuore anche.
Ci sono momenti che le parole le dicono le situazioni.
Loro ti vogliono bene; sei la loro bussola, il loro ago che scandisce il battito dei momenti sul binario della vita.
E quando ti guardano con quegli occhi sinceri che solo i bambini hanno, le tue fatiche non contano davvero nulla.
Ti guardi lavandoti nell’acqua del fiume lì vicino, il tuo riflesso è un disegno semplice: hai una faccia che ti porta a capire subito che cosa sei.
Una persona fortunata, perché loro ti danno una spinta di positività che ti coinvolge nell’intimo delle tua esistenza.

Non c’è cammino più bello che vedere i bambini crescere sui sentieri della vita.
Questo racconto finisce qui.
Il cammino continua, aspettando il prossimo passaggio per conoscere sorrisi nuovi, e piccoli camminatori che diventeranno grandi.

Massimo Montanari