Il cammino e la fiducia

Di chi mi posso fidare?
Di un dio? Ma non vedo e non sento alcuna entità che dia prova di infallibilità.
Dell’amor mio? Ma è una continua lotta per chiarire gli ineliminabili equivoci fra due persone comunque differenti.
Del miglior amico? Ma anche la più forte intesa conoscerà prima o poi delle incomprensioni.
Della democrazia? Ma la politica si muove per interessi e non certo per la salvaguardia del bene comune.
E allora, solo su me stesso posso contare? Ma non siamo padroni neppure in casa nostra, ci suggerisce la psicanalisi, sapendo quanto siamo condizionati dalle nostre forze inconsce.
La filosofa Michela Marzano ci ricorda che è connaturato al nostro essere mammiferi il profondo bisogno di affidarci. Siamo una specie affettiva, che soffre nella solitudine e nel dover contare sulle sue sole forze, che ha sempre affrontato i grandi problemi dell’esistenza chiedendo sostegno ai suoi simili.
La domanda vera, quindi, non è se o di chi dobbiamo fidarci, visto che è scritta nel nostro DNA la necessità e l’opportunità di farlo, ma come evitare delusioni e sofferenze da una fiducia mal riposta.
L’esperienza ci allerta che non dobbiamo fidarci a priori, incondizionatamente, creandoci eccessive aspettative, ma che è meglio tener ben sveglio il senso critico e valutare la fiducia che accordiamo dai fatti e non dalle parole pronunciate.
Insomma, conviene che non smettiamo di fidarci, di aprirci agli altri, se non vogliamo chiuderci in uno sterile e depressivo autismo o narcisismo. A patto che non lo facciamo in maniera ingenua e sconsiderata, a patto d’avere il sano realismo di verificare che il nostro slancio sia autenticamente contraccambiato, a patto che alla nostra empatia faccia da specchio quella dell’altro.

Il cammino e la fiducia.

Ragionando coi tanti compagni di strada sul senso del nostro camminare, sostengo da tempo che questo va oltre i fini salutistici e che si tratta di un vero e proprio metodo pedagogico, che ci insegna a vivere con più saggezza.
Nessuno garantisce il viandante che parte per un cammino se e come arriverà.
Il buon esito sarà la somma della tenacia individuale, del saper superare con elasticità gli imprevisti, dell’adattarsi alle avversità, dell’accettare di cambiare direzione o addirittura di fermarsi, dell’abbandonare l’orgoglio e chiedere aiuto quando serve, di una dose di fortuna e dell’intuizione che esiste qualcosa che ha a che fare col destino.
È l’arte di tessere un passo dopo l’altro che alla fine ci farà apprezzare l’incredibile tela del percorso compiuto.
È il contrario dell’avere certezze precostituite. È la consapevolezza delle innumerevoli contraddizioni che sono insite al nostro essere ed alla natura stessa del mondo che ci circonda, che ci dàil coraggio di avventurarci nell’ignoto, contrastando incertezze e paure, per giungere infine a una meta. Meta che ci accorgeremo essere diversa da quella che pensavamo alla partenza. Meta che sarà la somma dipiccoli instancabili passi.
È in quei passi che sperimentiamo il fidarci, lasciandoci andare,senza inutili domande, ai misteri del movimento cosmico.

Guido Ulula alla Luna

24 agosto 2014