La colonia di grandi bocche del bosco di Grou

Rubrica: Le bocche fiamminghe. Grandi alberi scavati dal Tempo

Autore: Tiziano Fratus

Stazione 6: La colonia di grandi bocche del bosco di Grou
Regione: Liguria
Provincia: Imperia
Comune: Castelvittorio

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1 ottobre 2016

Le bocche fiamminghe. Stazione 6: La colonia di grandi bocche del bosco di Grou. Autore: Tiziano Fratus

La Liguria è una terra dalla doppia faccia, come una moneta. Da un verso è terra di giardini e parchi costieri di grande bellezza, equidistribuiti fra città e provincia, dove dominano, anzitutto, piante di provenienza esotica. Dall’altro verso la vera Liguria, quella in parte dimenticata e in parte consegnata ancora ad un passo lento, è l’interno, dove le terre salgono, come nei sottili romanzi-paesaggio di Francesco Biamonti, abitati da personaggi cavi, in attesa di un vento che li attraversi e attribuisca loro una forma qualsiasi. Spiagge, piccoli borghi costieri, viuzze strette, sole che acceca, palme, odore di pesce e sapore di salato del mare. In questo scenario noto e desiderato spiccano eden quali i giardini di Nervi e il parco di Villa Durazzo Pallavicini a Genova, Villa Negrotto Cambiaso ad Arenzano, i giardini botanici Hanbury a Ventimiglia, Villa Ormond e Villa Zirio e Villa Nobel a Sanremo. Siamo invece poco abituati a respirare l’ambiente arcaico e dimenticato dell’entroterra, gli uliveti stanchi coabitano con castagneti dismessi, la pietra e il legno si spartiscono il mondo e le ombre ancora ricordano le storie della seconda guerra mondiale. Ne ha tratteggiato un bel ritratto la scrittrice inglese Julia Blackburn nel libro Thin Paths: Journey In and Around an Italian Montain Village (2011, Jonathan Cape). Qui si può visitare il parco di Villa Serra a Sant’Olcese o le riserve dei boschi d’alta collina, che si sviluppano, ad esempio, nelle riserve della Val d’Aveto o nell’entroterra imperiese, fra Molini di Triora, Castelvittorio e Ceriana. L’amico Marco Macchi, guida fra le più apprezzate in Liguria, ha riscoperto un castagneto dimenticato e abbandonato a sé, il bosco di Grou, del quale ho scritto in diversi articoli e libri (in ultimo ne L’Italia è un bosco, Laterza).

Le bocche fiamminghe. Stazione 6: La colonia di grandi bocche del bosco di Grou. Autore: Tiziano Fratus

Da Sanremo s’imbocca la provinciale 55, Ceriana, Passo Ghimbegna, provinciale 55 per Monte Ceppo, si parcheggia al Passo Colla d’Argante, comune di Castelvittorio. Un’ora di cammino e si penetra nel bosco di Grou. Se ne trova traccia in un documento risalente al 1642, il che significa che è stato piantato almeno sul finire del XVI secolo, se non prima. L’eccezionalità di questo castagneto sta nel fatto che vi riposano ottantasette alberi col tronco superiore ai cinque metri di circonferenza (apd). I più panciuti che abbiamo misurato oscillano fra i nove e i dieci metri, superano dunque le misure dei maggiori indicati nel libro Alberi di Liguria curato da Regione e Corpo Forestale: il castagno del Poggio a Borzonasca (GE) (800 cm) e quello del Passo Furché a Ceriana (IM) (850 cm). I boschi dimenticati assumono ben presto un disordine estetico ed estatico – quel “magistero del disordine” che tentavo di vivificare e descrivere nel romanzo Ogni albero è un poeta, Mondadori – che li avvicina all’idea di impenetrabilità che si ha di una foresta vergine, nella vaga impressione che ne possiamo avere senza mai esserci stati. Alcuni alberi assomigliano a dinosauri appena sfuggiti dall’abbraccio del ghiaccio. Ve ne sono di colonnari, a forma di candelabro, alcuni integri e muschiati, altri battezzati dal fuoco o scavati e grotteschi, come La Bocca, un bel gigante con mezzo albero strappato via e la corteccia in alto che sembra disegnare i contorni di grossi denti pendenti e da orco. Sono ancora evidenti le tracce dell’attività raccoglitrice dell’uomo, casupole in pietra squadrate e oramai vinte dal silenzio dell’oblio, i tetti compromessi, le porte scardinate o arrugginite, comunque malmesse. Gli essiccatoi sono oramai lettera morta come qualsiasi lingua che non viene più parlata. Pochi anziani ricordano l’odore di fumo che ti restava addosso, impregnando abiti e corpi, per settimane, pochi ricordano che un terzo del prodotto andava al proprietario del bosco ciò che restava ai raccoglitori; gabelle da usurai, accadeva ai nostri nonni, accadeva ad alcuni canuti padri. Le tecniche di raccolta del legno, il “taglio” di cui scriveva Carlo Cassola in uno dei suoi più apprezzati romanzi, in parte accatastata e trasformata dagli aristocratici dei boschi, ossia i carbonai, resistono al fondo di qualche libro, la pratica se mano umana la sa ancora praticare serve tuttavia per colorare manifestazioni a carattere folcloristico. Sono memoria di una memoria. Lo smercio dei frutti sta ritornando ad assumere un modesto ruolo economico, superata la crisi dell’epidemia veicolata dal cinipede galligeno, alias vespa cinese o asiatica, che nel decennio scorso ha fatto crollare a picco produzione e quindi consumo. Diversi segnali e nuovi soggetti cooperativistici sembrano surrogare l’opinione che anche queste antiche produzioni, nella società italiana della campagna, potrebbero avere, in un futuro prossimo, una certa rilevanza, che non vuol dire solamente guadagni ma anche maggiore cura del territorio. E questo non possiamo che auguracelo.

Le bocche fiamminghe. Stazione 6: La colonia di grandi bocche del bosco di Grou. Autore: Tiziano Fratus

Le bocche fiamminghe. Stazione 6: La colonia di grandi bocche del bosco di Grou. Autore: Tiziano Fratus

Le bocche fiamminghe. Stazione 6: La colonia di grandi bocche del bosco di Grou. Autore: Tiziano Fratus

Le bocche fiamminghe. Stazione 6: La colonia di grandi bocche del bosco di Grou. Autore: Tiziano Fratus

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