La mia Sardegna Selvaggia e Blu

Me lo sono ostinatamente ritagliato tra gli impegni di lavoro questo viaggio, e certo quello che volevo era mettere il naso fuori dalla porta, restare immersa per quei giorni e quelle notti nella Grande Madre Natura. Volevo trovare aria sole luce terra e cielo.
Ma già nel primo giorno di cammino, da Oliena, o meglio da Monte Maccione, al rifugio di Lanaittu, mi accorgo di quanto più di questo mi sarebbe arrivato.

“Cammino dentro al cisto tra i lecci e il vento che vola alto tra le foglie e le rocce.
Cammino dentro al battito del mio cuore e al mio respiro corto,
dentro agli odori forti della menta del rosmarino e della santoreggia sarda.
Cammino dentro alla terra, dentro al mio sudore e alla mia forza nuova”.

Quando arriviamo più in alto il vento vola basso e diventa così forte da farci vacillare. Oltre “la finestra del vento” siamo nel Supramonte, come ci annuncia la nostra guida, Luca, l’unico di noi ad aver già percorso quei sentieri. Perché cos’è una guida se non uno che già sa dove e come andare ?
E a lui ci affidiamo, mentre il vento sembra a tratti volerci schiacciare contro le bianche rocce di calcare o mangiarci come si è già quasi mangiato quei ginepri arborei che resistono fieri e stanchi. Qui comincia davvero l’amore per questa terra selvaggia a cui voglio assomigliare. Qui voglio trovare quello che è e non ha incertezze; e qui, in questo corpo a corpo con vento e pietra sto imparando faticosamente e istintivamente a non averne...
Perché devo abbandonare l’incertezza della mente quando cammino e il vento mi fa sbandare e devo subito ritrovare il mio equilibrio con un nuovo passo, un nuovo spostamento.
E non è così ogni momento della nostra vita ? Ogni ostacolo, sulla via, è un’occasione per sviluppare nuove facoltà.
Devo solo sentire la terra sotto i miei piedi, devo solo esserci mentre improvviso arriva l’istinto di aiutare chi è con me e sta per cadere. Così nasce anche l’amore-solidarietà tra noi semisconosciuti, che ci accompagnerà con uno scroscio di risate sempre, perché ridiamo della nostra forza e delle nostre debolezze, della bellezza che ci circonda instancabile e della nostra stanchezza, delle nostre prime cene a lume di candela e dell’acqua di Sa Oche, delle vesciche ai piedi e dei “terribili” pastori sardi, degli zaini traslocati e delle tracolle inusitate.
E poi distese di asfodeli e ferule e ogni giorno è la camminata più bella.
Da Lanaittu la salita verso i terebinti secolari e l’angelo custode del mistero di Tiscali, il villaggio nuragico costruito dentro la montagna, eroicamente seguiti dal fedelissimo cane Nero, che fin dal primo momento ci ha detto si, e che la mattina dopo saremo costretti a lasciare legato al rifugio per dovercene nostro malgrado separare. Io, quella mattina, cammino molto svelta. E’ il freddo delle prime ore del giorno, è la velocità di separarmi velocemente dalla voce di Nero che ci chiama. Mi accorgo che durante il viaggio sono da sola, anche se sono in gruppo, e che da sola imparo a staccarmi da quello che man mano incontriamo e lasciamo dietro di noi, riponendolo quieto in qualche parte di me.
Quel giorno l’incontro con l’acqua trasparente e gelida del Flumineddu e niente che spenga mai la nostra allegria. Poi ancora distese di verde e di bianco e di rosa dei cisti fioriti. E ancora l’acqua, così gelata da farci urlare, nella pozza ai piedi delle gole del Gorropu, splendido canyon di abbaglianti enormi tondi massi bianchi.
E quelle salite estenuanti verso Genna Silana, dove non vedo più niente e nessuna pianta attira più la mia attenzione, tranne il verbasco, e la digitale, che non avevo mai trovato prima spontanea.
Chiedo aiuto alla mia boccettina dei fiori e ai miei chakra e vorrei solo sentire tutti intorno a me per aiutarmi a trovare la mia forza, ma c’è chi ha il passo più veloce e si diverte a sfidarsi e “ognuno deve andare al suo passo”, dice il signor guido alias Luca alias grande capo. Eppure quando rivelo il mio bisogno tutti ascoltano con attenzione e anche la mia solitudine diventa ebbra come ebbri siamo noi di Sardegna e del vino pieno di sole che ci viene offerto ad ogni occasione. E così mi accorgo che durante il viaggio sono in gruppo, anche se sono da sola.
Mentre imparo l’amore per il peso del mio zaino, il viaggio inizia la sua discesa e noi ridiscendiamo il corso della Codula di Luna, guadando più volte, saltando sui massi tra l’acqua che scorre, cercando il sentiero tra oleandri e cascatelle vibranti. E dopo alte rocce tutt’intorno, arriviamo al mare !
Il primo mare, gelido anche lui, e passaggi a rischio su scogli scivolosi per raggiungere le grotte di Cala Luna, abitate dalle rondini sorprese della nostra presenza. Le abitiamo anche noi per una notte.

Nessuna fretta, nessuna fretta nelle nostre mani. Ma da dove viene tutta questa semplicità dell’essere ?
L’alba arriva a colori, il sole lascia l’acqua con un bacio e a me sembra di percepire il punto di unione tra la notte e il giorno, tra il buio e la luce, tra me e me. Adesso, mentre lo scrivo, mi viene in mente quello che dice Ralph Blum, nel suo “Il nuovo libro delle Rune” (le rune sono un antico oracolo di origine celtica), parlando di Raido, la runa che rappresenta il Viaggio, la Comunicazione, l’Unione, la Riunione: “...questa runa è correlata con la comunicazione, con l’armonizzazione di qualcosa in cui si dibattono due opposti, due principi, con la riunione definitiva che avviene alla fine di un viaggio, quando ciò che sta sopra e ciò che sta sotto si fondono per costituire una mente unica. ...il viaggio si snoda attraverso la guarigione, il cambiamento, la riunificazione di se stessi”.
Lasciamo Cala Luna per Cala Sisine e, tra sentieri trasformati dai fondi Cee, avviene che perdiamo il sentiero. Il grande capo è così umano ! E anche questa diventa esperienza di unione e di pazienza. Dopo una discesa veloce nella boscaglia sono la prima ad arrivare di nuovo al mare. Stasera ci scalderemo al fuoco di un falò, al calore delle nostre voci, del mirto e della luna piena. Si, non volevo lasciare Cala Sisine, sono l’ultima ad allontanarmene, per un lungo tratto penso che oggi tocca a me essere il punto di negatività all’interno del gruppo, ma quando il processo alchemico avviene e sono di nuovo trasformata, sono carica di energia. Mi preparo per il grande ballo ! Perché arriviamo alla chiesetta di San Pietro proprio nel bel mezzo di una festa di compleanno in campagna e qui l’ebbrezza raggiunge il suo apice, tra il Cannonau, la musica degli organetti, il ballo sardo che anche noi proviamo a ballare, e gli occhi luminosi dei pastori.
Ma come, è già finita ? E’ l’ultima notte che dormiamo in Sardegna. L’indomani ci aspetta l’ultimo pezzo di strada, e l’ultimo tratto di Sardegna selvaggia nelle rocce sopra Baunei, poi il paese, la “civiltà”, la corriera per Olbia, e infine il traghetto. Ma quante cose non ho detto. Quanti alberi con le radici piantate nella roccia non ho nominato, e quanti momenti miei o dei miei compagni di viaggio non ho raccontato. Perché il viaggio non è il racconto: il viaggio, il camminare, il progredire va vissuto, ne va fatta esperienza, con tutta l’attenzione, il rispetto, la ricettività e l’allegria di cui siamo capaci.
Questo viaggio è stato (il viaggio è) un lungo sentiero continuamente diverso, a cui continuamente adattarsi, e io viandante devo ogni volta rinnovarmi, perdere il mio io pensante e prendere in qualche modo una nuova forma compatibile. E’ un nascere continuo, dentro come fuori, attorno ad un punto di permanenza e di stabilità che diventa sempre più forte, proprio come sento diventare più forte e stabile il mio corpo. E penso che chissà, forse i pellegrinaggi, quegli spostamenti enormi di persone per andare a cercare altrove ciò che è ovunque e dunque già qui, avevano questo senso: mobilizzare le energie, rendere più ricettivi e coraggiosi per l’incontro con il Divino. Sono certa che ognuno di noi qualcosa di Sé ha ricordato, durante questo viaggio. Non mi rimane che ringraziare tutti noi, La Boscaglia e Luca Gianotti per esserci e averci guidato nel mondo della wilderness.

Maria Nicoletta Bucchicchio

Redazione CdC
6 gennaio 2011