Sulle orme di Francesco

Viaggiatori d’Occidente. Il pensiero del santo più popolare si capisce solo camminando

Il Cammino di Francesco collega i santuari francescani che sorgono sulle colline intorno a Rieti, nel Lazio; una settimana di cammino circolare tra boschi di querce e faggi, ginestre in fiore, fonti, piccoli borghi.

Un viaggio per capire il pensiero di San Francesco che ha una semplicità tutta apparente, ingannatrice.

Redazione CdC
26 settembre 2013

La piazza di Greccio. (Claudio Visentin)

Avevamo raccontato il progetto al suo nascere («Azione 8», 22.2.2010) ma mi era rimasto dentro quel desiderio di vedere di persona, che è l’anima di ogni viaggio. Come sempre, basta muovere il primo passo: gli amici della Compagnia dei Cammini (www.cammini.eu) preparano le mappe, ma il cammino è ben segnato e non si rischia di perdere la strada (se non quando si tentano avventurose scorciatoie…), senza contare la guida (di Angela Maria Seracchioli, Di qui passò Francesco, Terre di mezzo).

Questo mio viaggio, cos’è? Non un pellegrinaggio formale, anche se qualche suggestione dei tempi (a cominciare dal nuovo papa Francesco) gioca un suo ruolo. Semmai è un desiderio di capire. Il pensiero di San Francesco ha una semplicità tutta apparente, ingannatrice: non a caso piace alle persone più diverse ed è frainteso più spesso di quanto non sia inteso. Ripercorrerne le orme in senso letterale permette di coglierne lo spirito profondo, legando le idee con le esperienze che le hanno generate, la mente con il cammino.

San Francesco fu un santo viaggiatore, in perenne movimento lungo tutto il corso della sua vita. Nel 1219 si spinse sino in Oriente, alla corte del sultano d’Egitto, ma più spesso percorse a piedi, con un compagno, larga parte dell’Italia centrale, tra Toscana, Umbria e Lazio.

Nella bella piana reatina (la Valle Santa) si svolsero molte vicende cruciali nella vita del santo e del suo ordine. Per esempio nel toccante santuario di Fonte Colombo, Francesco scrive la regola definitiva dell’ordine. A Greccio, la seconda Betlemme, nel Natale del 1223 fa preparare per la prima volta il presepe. Nel santuario di San Giacomo a Poggiobustone, quando ancora è circondato da pochi compagni e incerto sul cammino che lo attende, lo Spirito Santo gli conferma il perdono dei suoi peccati d’un tempo e gli mostra il luminoso futuro dell’ordine da lui fondato. Al santuario de La Foresta compone forse il Cantico delle creature e così via.

Da cittadino tecnologico, ho soprattutto desiderio di ristabilire un dialogo con il mio corpo, ritrovare un ritmo interiore ed esteriore al tempo stesso, riallineare passi e pensieri. San Francesco è il santo delle piccole gioie che il mondo ci dona per la bontà divina – frate sole, frate vento, sor’acqua, frate focu – ma aveva anche qualche diffidenza nei confronti dei piaceri: «Il peggior nemico che io abbia è il mio corpo» lamenta un giorno Francesco assediato dalle tentazioni del demonio che, non avendo alcun potere sull’anima, sfrutta a proprio vantaggio ogni debolezza del corpo, che va dunque tenuto a freno con la povertà, la castità, la mortificazione.

Ma in questa primavera tardiva anche il diavolo è in vacanza e tutto sembra luminoso e pulito. Il corpo del viandante gli è amico e, ad eccezione delle tratte più dure, la fatica ha un risvolto piacevole. I piccoli dolori rivelano muscoli e ossa che non ricordavo più d’avere e anche il caldo del primo sole di giugno scaccia i malumori e l’umidità dei lunghi mesi di pioggia passati.

«Come sogliono cantare i viandanti, canta ma cammina»: un altro santo, Agostino di Ippona, detta la linea.

Comprendo presto come tutto il gran camminare di Francesco non fosse solo per la necessità di recarsi in qualche luogo. Il viandante, che porta tutti i suoi averi in un piccolo sacco sulle spalle, spesso stanco, sporco, ovunque straniero, si fa umile anche senza volerlo: «I frati non si approprino di nulla, né case, né luogo, né alcuna altra cosa. E come pellegrini e forestieri in questo mondo, servendo al Signore in povertà e umiltà, vadano per l’elemosina con fiducia»… Il nostro querulo e petulante «io», che pigola tutto il giorno, tace per un attimo.

La sintonia tra la visione del Santo e il cammino che percorro prende infine luce da una pagina dei popolari «Fioretti di San Francesco». Il Santo cammina nel freddo inverno assieme all’inseparabile frate Leone. A un tratto comincia a chiedergli cosa sia la perfetta letizia, ma naturalmente il buon Leone non ne ha idea. Perfetta letizia, spiega Francesco, non è dare prove di santità, né fare miracoli simili a quelli di Gesù, né possedere la più alta sapienza, né predicare così efficacemente da convertire tutti gli infedeli… Cosa sarà dunque mai la perfetta letizia, chiede allora meravigliato Frate Leone. Perfetta letizia, risponde Francesco, è giungere al monastero la sera dopo un lungo cammino, bagnati, ghiacciati, infangati, e vedersi prendere a male parole e percosse dal portinaio; e tuttavia sostenere con il sorriso l’ingiustizia, vincendo la rabbia, l’orgoglio e ogni altra forma di superbia.

Ripenso a una mia reazione eccessiva al cospetto di un ostello troppo spoglio e faccio doverosa ammenda. Minuzie? No. Come ha scritto Christian Bobin (Francesco e l’infinitamente piccolo, San Paolo Edizioni), il pensiero di Francesco si comprende nelle piccole cose: passo dopo passo.

Claudio Visentin

Pubblicazione originale: Azione - 24 giugno 2013 - n. 26