I dromedari di Mahjoub

Valle del Drâa 16 febbraio 2012

Una bellissima giornata di cammino fra dune e palmeti, la coesione del gruppo e la confidenza fra i camminatori ed i carovanieri è cresciuta, arriviamo a Tidri nel tardo pomeriggio e lì troviamo un autentico bivacco saharawi, formato da tende tessute con pelo di dromedario e di capra.

Marina Pissarello
20 marzo 2012

Ci accampiamo nella piana circondata da dune di tamerici, non lontano dal grande Marabutto e dalle rovine dell’antico villaggio abbarbicato alle pendici di un incombente costone roccioso.
Curiosi, i bambini del villaggio non tardano ad avvicinarsi, finché il contatto non viene stabilito e allora sono giochi in allegria e resse chiassose per le caramelle.
Prima di cena viviamo un bel momento di condivisione leggendo poesie del poeta sufi Rumi e anche la serata intorno al fuoco mi appare più intensa del consueto: per la prima volta ceniamo all’aperto, mentre Omar, l’anziano dello staff che ancora vive da nomade, ci intrattiene con particolare amabilità e sfida Mara e Norma alle percussioni.

Poi percepisco una nota stonata: Bujimah chiama Said e lui corre via con una precipitazione che non gli ho mai visto prima.
Ma è solo più tardi, quando tutti i viaggiatori si sono ormai ritirati nelle loro tende, che i carovanieri si fanno intorno al falò coi volti tesi e Said mi rivela: “On a un problème… grave”.
Nella Valle del Drâa cresce un’erba molto tossica e particolarmente subdola perché di un bel colore verde e di sapore zuccherino; in anni siccitosi come questo fa strage sia di animali domestici come le capre, ma anche di gazzelle.

Quattro degli otto dromedari al nostro seguito ne hanno mangiato e si sono intossicati.
Alcuni sono andati a prelevare la moglie del cammelliere Mahjoub per somministrare un antidoto che si è rivelato efficace solo per due animali, mentre gli altri due – proprio i suoi – non ce l’hanno fatta.
È una notte molto triste: il danno per Mahjoub e la sua famiglia è grandissimo perché sono morti gli unici dromedari che possedevano.
Ciò significa una perdita superiore ai 2.000 €, una cifra importante da queste parti e probabilmente proibitiva per Mahjoub, ma anche della principale possibilità di lavoro e di sostentamento per un uomo che ha figli piccoli da crescere, una batosta gravissima per una famiglia povera.
Said, da parte sua, ha già deciso di intervenire con 500 € e mi chiede di rivolgere un appello per aiutare Mahjoub anche alla comitiva dei camminatori: un intervento che non sarà necessario.
Poco dopo il sorgere del sole, infatti, vedo Patricia e Renate che si avvicinano per fotografare le carcasse dei dromedari, credendoli addormentati. Spiego la situazione e da lì scatta un moto di solidarietà che non lascia nessuno indifferente.

Mi piace ricordare le parole di Raniero che si racconta: “vengo da una famiglia contadina e ricordo bene come la perdita di un animale fosse un evento drammatico, non solo per il danno economico, ma perché a morire era un compagno di lavoro, quasi un membro della famiglia…”
A sera Luca, incaricato della raccolta, racimola fra di noi 940 euro. Ma non è tutto, anche Naji, Bujimah e Said, che lavorano nella nostra squadra si sono tassati di 25 € ciascuno.
È stato doloroso abbandonare le due carcasse agli sciacalli, ma abbiamo compreso che questa è la legge della vita e che alla vita dobbiamo essere grati di tutti gli insegnamenti, anche di quelli che ci sembrano troppo duri o ingiusti.

Come sostiene il Piccolo Principe “non si vede bene che col cuore”.
Tutti i protagonisti di questa vicenda meritano riconoscenza perché non hanno esitato ad aprire gli occhi del loro cuore sul più debole e perché ci aiutano a posare un altro mattone sull’edificio dell’amicizia che vogliamo costruire.