Il cammino dell’età inedita

C’è chi la paragona ad una vera e propria rivoluzione.
Federico Rampini nel suo ultimo libro “Voi avete gli orologi, noi abbiamo il tempo” ipotizza che la fascia dei nati dal 1946 al 1965, i cosiddetti baby boomers, protagonisti di tanti cambiamenti sociali e culturali negli ultimi decenni, alla soglia dell’età anziana, fino ad ora considerata di decadente tristezza, possono essere interpreti di una stagione stimolante ed innovativa.
Gli fa eco Enrico Oggioni col suo scritto “I ragazzi di sessant’anni”, dove viene chiamata “vita nuova” il periodo fra i 55-60 ed i 75-80 anni, facendo notare che per la prima volta nella storia dell’umanità sarà possibile vivere questo arco di tempo ancora in buona salute e con molte chances di esprimere progetti creativi e di utilità sociale.
Nella sostanza, è in atto un ampio dibattito collettivo sul ridisegnare le tappe della vita e le loro funzioni, sparigliando giudizi e comportamenti dati per scontati fino ad ora.

Il cammino dell’età inedita.

È splendido, a mio giudizio, il neologismo proposto dal gerontologo Carlo Vergani, l’età inedita, per definire questa fase della nostra esistenza, che è come una finestra non breve prima della vecchiaia conclamata.
“Inedito” mi dona un senso di apertura, di esplorazione, di scommessa, di speranza, di energia.
Ho esattamente sessant’anni e sto vivendo sulla mia pelle l’alternanza di umori fra il considerare alla fine la mia vicenda esistenziale, con un profondo senso di inutilità, ed invece lasciarmi attrarre da un nuovo modo di essere… tutto da inventare… cioè totalmente “inedito”.
Il problema che avverto è darmi un metodo per affrontare queste contraddizioni che mi attraversano.

Per fortuna sono un camminatore.
Ringrazio la filosofia che ho acquisito in questi anni di viaggi a piedi, confrontandomi a fondo col linguaggio del mio corpo, con la natura attraversata, con le idee dei tanti compagni di strada incontrati.
Sapere che davanti ad una crisi, ad un percorso nuovo, ad una necessità di cambiare ottiche radicate, il modo migliore è adottare l’etica del viandante, il fare un passo dopo l’altro, mi è di grande aiuto.

Sempre più persone della mia età camminano.
Ho visto in diverse occasioni novantenni che da soli o in gruppo, con lo zaino e col proprio passo, raggiungevano rifugi di montagna o percorrevano lunghi tragitti con tappe itineranti.
La medicina e la psicologia non si stancano di spiegare i vantaggi che la pratica del camminare tutti i giorni ha sul nostro sano invecchiamento.
Mi sento di aggiungere, per cui di proporre ai miei coetanei, l’ulteriore riflessione che col cammino educhiamo noi stessi a quel fattore centrale per la vita che è il movimento e la continua curiosità di effettuarlo.
Non dare mai niente per scontato, non sperare che qualcosa o qualcuno possa risolvere miracolosamente le nostre problematiche, non illudersi mai di avere esaurito il nostro compito di cittadini consapevoli delle sorti del mondo.

Camminare è partecipare.
Camminare è prenderci la responsabilità del come e dove andare.
Nella vita, per la vita.

Guido Ulula alla Luna

16 maggio 2013