Il cammino e il selvatico dentro

Non la vedo più, tanto è smarrita e nascosta, la selvaticità da cui provengo.
So che è esistita, ne intuisco le ombre in certi disagi che non mi abbandonano.
La nostalgia a volte mi assale, anche se non capisco bene di cosa si tratta.
Oramai è tutto un pensare, a cosa meglio essere per essere graditi al mondo.
I trucchi li ho imparati presto, perché il bambino che gioca libero è patologia.
Ben domato e ben pasciuto, bravo nell’usare i marchingegni del libero mercato.
Sono pochi i pertugi, spesso cercati nello sballo, da cui esce qualcosa di me.
Già, di me.
Me chi?
Se mi chiedono a bruciapelo chi sono, al massimo ripeto lo stereotipo di qualche pubblicità.
A volte mi salva la malattia, almeno lì lo star male è manifesto.
Sì, mi viene concesso mostrare l’imperfezione.
Per un attimo impietosisco, forse faccio ricordare quanto siamo fragili.
Ed il tremendo bisogno di confidare che desidero solo un infinito abbraccio.
Ma dura poco lo spazio empatico.
Il castello di carte così faticosamente costruito rischierebbe di cadere a pezzi.
Subito devo etichettare, riportare il controllo, terapeutizzare il lato umano.
Non vorrete mica che la bestia riappaia in me?

Il cammino e il selvatico dentro

Poi, non ne capisco mai bene le ragioni, mi rimetto in cammino.
Sento un qualcosa dentro che mi obbliga a muovere i piedi.
E avverto benessere, che il sangue circola bene, che sono più centrato.
Il mondo attorno a me resta disastrato, sostanzialmente triste e infelice.
Finto.
Ma le sensazioni riemergono, pulsa un ancestrale linguaggio che dal corpo sale.
Mi interrogo, scopro che la mia natura è in profonda sintonia con le energie che ho attorno.
E spengo, dapprima incerto e poi sempre più convinto, quegli inutili oggetti tecnologici che ritenevo indispensabili al mio esistere.
Sono un uomo.
Cammino, e sono un uomo.
Cammino, consapevole che è in questo mio muovermi disattento la strada per salvarmi dall’annichilimento razionale.
Cammino, ed è poesia.

Guido Ulula alla Luna

12 settembre 2014