In questa foto (ovvero… la malinconia della guida)
Lettera ai “miei ragazzi”
In questa foto ci sono centoventi chilometri.
Ci sono nove giorni di cammino.
In questa foto c’è la nostra storia, ragazzi miei.
Ci sono tutti i momenti del cammino che ci hanno portato a bagnare i piedi gonfi e vescicanti nelle acque del mar Tirreno, partendo da quel monte Appennino così verde e austero che gonfia il petto con orgoglio e ti fa accarezzare il cielo sulle sue ultime pietre a pochi metri dalle nubi.
21 agosto 2017
Ci sono odori impuri, e occhi puri; magliette impataccate dove negli aloni nascosti di merende e colazioni fatte ci sono le briciole dei mirtilleti della Bargetana, le praterie del Passo Pradarena, le mulattiere e i pastori di Sassalbo; tracce e segni di ogni dove abbiamo cenato pranzato, consumato i pasti insieme.
In questa foto ci sono persone che sono partiti bambini, e sono arrivati ragazzi.
Ci sono ragazzi che partiti timorosi sono arrivati decisi.
Ci sono persone che hanno camminato sui sentieri della loro esistenza trovando passi certi, orme profonde impronte scolpite.
Ci sono i segni di un avventura, che ci ha fatto essere seguaci “salgariani” di saghe e leggende che abbiamo sognato e che abbiamo vissuto.
Non abbiamo incontrato tigri o pirati, non siamo andati sotto i mari ma abbiamo intrapreso un viaggio in cui il nostro Nautilus era il segno tracciato sulla carta del nostro tesoro.
In questa foto ci sono gli occhi di tutti quelli che abbiamo incontrato, le loro storie, i loro sguardi e le loro curiose domande.
In questa foto noi siamo il mare.
Siamo sabbia e cielo, radici e ali di una bellezza grande come il mondo.
Siamo presenza presente, siamo futuro.
Siamo passaggio e passanti.
Abbiamo portato su questa rena scottante un po’ di tutto quello che nelle tasche nascoste nei meandri più bui dei nostri zaini si è infilato nel passaggio di questo nord-sud errante diagonale di spazi non immaginati ma conosciuti all’istante.
Queste briciole dal sapore di voci vissute e visi amati; le gesta di saluto, i “ciao” con mani alzate, degli anziani nei bar, dei vecchi che con una manata di saggezza hanno accompagnato il nostro vagabondare allegro.
Ci sono i momenti nostri in questa foto.
Tutti quei battiti ansimanti nelle salite, i refrigeri delle discese, i momenti di crisi naturale, dove fatica e umido sono stati maglie soffocanti, ci sono i momenti di sete, dove acqua madre suprema era cercata, e i fiumi che ancora potevano darcela nell’immensa storia straordinaria della natura ancora avevano da donare a noi, passeggeri portanti afa.
Ci sono i sogni notturni di notti agitate, sotto il tappeto di stelle, sotto un manto nero luccicante di lucciole e costellazioni. C’è ancora la lontana ma abbagliante certezza di Aldebaran, Venere, Cassiopea e tante altre che come lumini accesi sono stati la nostra torta di compleanno sopra di noi.
Ci sono i rumori del bosco, quei silenti passi circospetti ma presenti che in modo soave galleggiavano sulle foglie del bosco, senza vederli, ma sapevamo che c’erano; lupi, volpi istrici ci hanno lasciato impronte di segni.
I questa foto ci sono le nostre mani che si legano come una catena, come la lunghina che ci ha legato agli asini, le nostre mani che hanno rappresentato una unica e coesa corda ombelicale.
Perché siamo stati gruppo, famiglia, siamo stati uni e trini. Indivisibili.
La fatica ci ha forgiato, la stanchezza ci ha urtato ma non siamo caduti.
Perché noi siamo stati Uno.
In questa foto infine ci siamo noi, che questa storia l’abbiamo vissuta, che l’abbiamo scritta e ne siamo stati partecipi.
Noi che siamo stati storia e questa di storie rimarrà scritta per molto tempo ancora.
Noi che ci siamo tatuati 120 km sulle braccia sul collo e in ogni dove.
Questa foto è un angolino indelebile nell’area vasta del nostro cuore, un lampione acceso come luna di agosto che riverbera i momenti della solitudine da cacciare.
E in questa foto ogni volta che la guardo c’è la solitudine della guida; quell’essere consapevole che il sipario è calato e ora il mio zaino si riempirà di ricordi.
Non ci sono più materassini da gonfiare, tende da mettere a posto, zaini da aggiustare, scarponi da allacciare, piedi da impomatare, vesciche da curare. Lacrime leggere da asciugare che tracciano segni su guance abbrustolite.
Il sacco a pelo è gonfio di quella sottile malinconia; quell’ingorda e insulsa sensazione di volervi ancora con me sul cammino della vita. Malinconia maledetta che sei, vorace e tenaglia che attacchi lo stomaco, sei un insulto alla delicatezza di tutto quello che è stato ma sei specchio di quello che noi umani siamo; chini alle tentazioni della bellezza la vorremmo per sempre ma essa finisce per poi se vogliamo, continuarne in altre di bellezze.
Come avrei voluto si fermasse l’istante esatto di questo scatto, Come se la foto potesse creare un vuoto e sospesa tra spazio e tempo fosse un elemento di fermo immagine reale.
Come vorrei essere lì e quell’attimo assaggiarlo ancora ora dopo e mille volte ancora.
Ma non sarebbe giusto.
Voi avete fatto un vostro percorso; la vita ve ne chiede altri.
Ora il giorno dopo, il mare ha onde silenziose, i boschi sono senza voci.
Il cammino è anche questo; un contenitore che arrivato al fondo suona il cantico della malinconia.
Nove giorni, nove notti, milioni di attimi insieme e ora non siete più qui sui sentieri in cui vi ho accompagnato.
Ci saranno altri viaggi e altri gruppi.
Ma voi siete stati Questo gruppo.
Con la vostra storia, il vostro destino.
Il vostro futuro è in cammino.
Spero di essere stato per voi il giusto segnavia.
La strada ora è vostra.
A testa alta sempre.
Così come avete fatto in questo viaggio dall’Appennino al mare.
Grazie per tutto ciò che mi avete regalato ragazzi miei.
Massimo Montanari