Là dove c’era l’acqua…

Storia del Lago Iriki e della desertificazione che avanza

Durante il capodanno in Marocco in carovana berbera abbiamo vissuto un’esperienza, a diretto contatto con la popolazione locale, che ci ha permesso di conoscere una piccola ma significativa realtà nascosta o semplicemente ignorata, come lo sono molte delle vicende che riguardano persone “senza voce”. Credo che meriti di essere raccontata, non meno delle visioni mozzafiato e delle forti sensazioni del deserto di dune…

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Marina Pissarello
23 gennaio 2012

A conclusione della tappa del 5 gennaio - dopo sei ore di cammino nel paesaggio lunare di un deserto sassoso, ma già segnato dalla formazione di neonate dune di una sabbia ancora rozza - Said ci conduce ad un minuscolo villaggio, 20 case e un moschea, dove siamo accolti in famiglia per il tè che precede la cena. A fare gli onori di casa, in assenza del capofamiglia, è Ahmed, suo cognato, mentre la moglie ci saluta con gentilezza, ma poi si ritira insieme ai bambini.
Il gruppo dei camminatori e delle camminatrici si fa improvvisamente timido e silenzioso. Posso leggere nei loro visi un rispetto che sconfina nell’ammirazione, mentre togliamo le scarpe per entrare in quella dimora così povera e spoglia, ma tuttavia curata e dignitosa.

Come curate e dignitose sono le persone che la abitano: bei visi e portamenti fieri che evocano un passato, tutt’altro che remoto, in cui l’appartenenza a questa terra era motivo di orgoglio.
Il primo giro di tè “amaro come la vita” è silenzioso, qualcuno cerca di accordare una vecchia chitarra priva di una corda per accennare una nota che unisca, come in effetti è stato in questi giorni il far musica con i carovanieri.
Il secondo tè “quello che ripulisce” dà il via al racconto, sussurrato a Said che lo traduce per noi.

Fino al 1973 l’Iriki è stato un lago pescosissimo e ha fatto da culla ad una ricca avifauna acquatica. Le principali risorse alimentari della popolazione locale, nomade, erano date dalla pesca e dalla raccolta delle uova degli uccelli che nidificavano numerosissimi in questa straordinaria zona umida che si estendeva per una lunghezza di 32 chilometri. Il terreno circostante era fertile, con ottimi pascoli e il clima mite. Il lago Iriki è stato prosciugato completamente dalla costruzione della diga che oggi forma il lago artificiale di Ouarzazate, con lo scopo di alimentarne la rete idrica.

La gente di qui racconta che, quando il lago si svuotò, nel suo alveo rimasero mucchi di pesci alti diversi metri. Poi fu il nulla. Solo sassi e sabbia e polvere. Le poche famiglie rimaste hanno abbandonato la vita nomade e fondato dei piccoli villaggi come questo, cercando di convertirsi alla sedentarietà e all’agricoltura. Ma la vita è diventata molto difficile: l’acqua basta appena ad approvvigionare le abitazioni, non vi è possibilità di irrigare i campi.

Così la semina viene effettuata ogni anno, ma il raccolto avviene solo quando piove a sufficienza. Normalmente si verifica un’alternanza di periodi umidi e periodi secchi a cicli più o meno decennali. Negli anni piovosi una famiglia arriva a raccogliere oltre 15 tonnellate di grano. Ma negli anni aridi le piante avvizziscono e muoiono prima che le spighe arrivino a maturazione. Così almeno un uomo per famiglia è costretto a cercare lavoro lontano qui.

Beviamo anche il terzo ed ultimo bicchiere di tè “dolce come l’amore” e lasciamo la casa col cuore gonfio di tristezza. Molti di noi non avevano mai toccato con mano gli effetti devastanti che le ferite inferte agli habitat naturali hanno non solo sulla fauna selvaggia, ma anche sulla vita delle persone, in tanti avevamo fino ad oggi considerato questi problemi solo in maniera teorica.

A sera non riusciamo a non commentare l’esperienza vissuta, in molti mi chiedono di prevedere maggiori spazi per questo tipo di incontri durante i viaggi. Poi Rashid ci serve la cena insieme ad un pane profumatissimo, appena sfornato, capiamo da dove arriva e anche questo ci emoziona. Ma è il giorno successivo, guardandoci attorno dopo un’aurora intensissima, che i nostri occhi hanno una percezione diversa della piana che ci circonda e delle colline intorno e le immaginiamo com’erano… come devono averle viste gli occhi di chi la sera prima ha provato a raccontarcele.