Lampedusa e Linosa

(ogni volta che parti pensa che porti con te radici,
che fai i conti con le tue paure e con le tue braccia così aperte)

Redazione CdC
23 dicembre 2010

sabato 11

Mangiamo ciliegie all’aeroporto di Roma. Metà della paura è andata. Alle 14.00 l’altra metà del volo. Certo che è bella la terra vista dal cielo! E’ come una pagina scritta, di segni che l’uomo ha tracciato, scolpito, inciso sulla sua pelle.

Segni di una geometria variabile che raccontano una storia di colpi inferti, di sodalizi, di futuro incerto. Sarebbe meno incerto se l’uomo fosse capace di innamorarsi della terra. Intanto due giovani signori seduti qui vicino, che come me aspettano il loro volo, si sono messi a parlare d’amore. Uno ci vorrebbe provare con una collega, mi pare parlino di questo… Anche l’amore vola come canta Fossati. E questa idea mi piace.

Lampedusa dal cielo è una suola piatta e arsa che sembra un pezzo di deserto di pietra in mezzo al mare. Quando ci arrivi è vero, come dice Nanni, che ti viene solo da pensare: ma dove cazzo sono? Nanni era già lì all’aeroporto che ci aspettava, e presto si capisce che lui il capogruppo lo sa fare. Alle sette tutti su alla terrazza, ci spiega come funzionano le cose qui e anche come non funzionano e perché.

Lampedusa sarebbe un luogo possibile se qualcuno la amasse, potrebbe andare meglio se chi ci vive decidesse di adottare la sua terra non voluta.

Nanni ci mostra sulla carta il giro che faremo nel cammino di domani, poi decidiamo il programma della settimana: quattro giorni qui, dopo, mercoledì, andremo a Linosa. Se il mare vuole, perché qui tutto dipende dal vento. Se fa libeccio non si attracca a nord, se soffia vento di scirocco non si attracca a sud.

domenica 12

Nel centro di quest’isola c’è una terra di nessuno. Seguendo la strada in terra battuta che dal paese parte verso nord, dopo alcune case fatiscenti, c’è il niente e poi dopo ancora il niente; l’unica consolazione per chi cammina è il profumo e il colore indaco del timo fiorito.

Soffia vento di scirocco. Spazzatura ovunque, brandelli di plastiche indistruttibili svolazzano impigliate al filo spinato che costeggia la strada. Ad un certo punto, in questa piana di terra aspra, iniziano una serie di discariche a cielo aperto. Cimiteri di cose abbandonate, distese di rifiuti, carcasse di auto e motorette vecchie, lavatrici. Sul ciglio della strada un divano in vinilpelle che ha perso i suoi cuscini. I brandelli di plastica che svolazzano al vento sembrano fare il verso al coro dei gabbiani.

Tutto quello che vedo qui è desolante: è sconfitta, è impotenza. E’ desolante anche quello che non vedo ma che posso immaginare…

C’è anche il cimitero delle barche dei clandestini qui. Sono vecchie carrette di legno scassate, accatastate dietro una recinzione invalicabile. Sotto sequestro. Alcune speronate forse, altre squartate; si vede che neppure il mare le ha volute. Sulle prue ci sono scritte parole in arabo. Su una sono rimasti anche dei vestiti distesi al sole. Ci sono immagini che scavano dentro e capisci subito che non ti lasceranno più e che non sarà facile conviverci.

Ci vuole proprio il bagno del pomeriggio alla spiaggia bianca dei Conigli per ritrovare un po’ di pace. Per cena ci aspettano i ravioli di cernia alla trattoria del porto, un altro dono stupefacente di una terra che non è solo aspra.

lunedì 13

Come ieri alle nove, ritrovo al Bar dell’Amicizia. Lì c’è Don Pino dietro il bancone. E’ un anziano signore con il viso segnato che scrive poesie indescrivibili… però le paste le sa fare bene e c’è chi si abbuffa ogni mattina.

Oggi camminiamo lungo la costa sud fino alla punta più estrema dell’isola. Là io penso ci troveremo un faro. Il cammino è senza difficoltà, sopra una cresta di terra che ti lancia senza protezioni sull’infinito. Il mare è colore smeraldo e Nanni vuole farci una foto di gruppo superpanoramica per il catalogo 2006 della Boscaglia (chissà poi sei Gianotti ce la metterà!)

Arriviamo verso le due alla spiaggia dei Conigli bianchissima e affollata. Qui in maggio e giugno nidificano le tartarughe, ma ti chiedi come fanno con tutti quei turisti… Nanni ci racconta di come è difficile fare capire alla gente del posto quanto vale la riserva naturale, quanto può essere di interesse anche per loro. Sono discorsi che non accettano, non vogliono che le cose cambino. Non è stato facile quando stava qui per Legambiente nella zona protetta.

Ma c’è di nuovo una cena a tirarci su: cous-cous alla cernia alla solita trattoria del porto. Anche da quello che mangiamo si capisce che qui siamo quasi in Africa e che quando le culture si incontrano e si contaminano tutto diventa più interessante. E’ un intreccio difficile da descrivere, ma si capisce che abbiamo tutti da guadagnarci e il cous-cous alla cernia era cosa davvero straordinaria.

martedì 14

Al porto dei pescatori stamattina abbiamo appuntamento con Gaetano che ci porta a fare il giro dell’isola sul suo gozzo. Su un’altra imbarcazione vedo scritto Gaetano padre. Si vede che il nostro è il figlio. E’ un ragazzo giovane, ma non è come i giovani delle città. Ha braccia forti e le parole le usa solo quel poco che servono. Il gozzo di Gaetano è pitturato di fresco, ha i colori vivaci che hanno le barche nei piccoli porti dei pescatori. Le barche hanno spesso nomi di donne, forse i pescatori le colorano così perché poi se ne stimano…

Lampedusa vista dal mare mostra le sue pareti calcaree erose dal vento e dall’acqua. Dietro anse e grotte, all’improvviso appaiono scogliere chiare dove sono visibili strati dalle diverse colorazioni rosate e giallastre. Penso che quest’isola assomiglia a un miraggio, ti abbaglia con il suo biancore, ti attrae, ti chiama, poi ti sfugge via.

Prima di cena faccio due passi da sola per il paese, mi piace quest’ora del giorno.

Devo ritirare quindici cannoli da Don Pino. C’è sempre qualche cane intorno. Sembrano loro, insieme a vespe e motorini i padroni della strada. Sono cani ossuti che girano in cerca di un pezzo di fortuna: a volte li vedi infilarsi in qualche bottega o in qualche bar e vengono buttati fuori a calci. Don Pino è seduto al tavolino che scrive, a lui basta fare un fischio e il cane smilzo se ne va fuori dalla pasticceria di corsa a coda bassa.

mercoledì 15

Alle 10.00 siamo già di là: Linosa è terra nera, nata dalla bocca di tre vulcani. Niente a che vedere con Lampedusa. Le chiamano entrambe Pelagie, ma non sono isole sorelle. Linosa piuttosto è parente di Pantelleria.

Ci sono tre montagne qui: Monte Nero, Montagna Rossa e Monte Vulcano.

Oggi saliamo fino al cratere di Monte Nero dopo un lungo e dolcissimo cammino tra arbusti di lentisco, finocchio selvatico e capperi fioriti. Incontriamo anche due giovani raccoglitori, ma ci dicono che quaranta chili di capperi non ci riesci a raccoglierli in un giorno e i soldi non li fai. Questa è un’isola di contadini che amano la loro terra. Ci sono colture di vite e altre coltivazioni in ordinati fazzoletti di terra delimitati da piccoli muriccioli di pietra. Dove il verde arriva alle scogliere, lì mi pare a tratti di rivedere i paesaggi irlandesi e allora non capisco più se un posto è quello che è oppure è quello che tu ci riesci a vedere.

La casa in cui dormiremo è colorata di azzurro, dalla finestra si scorge quella di fronte gialla con i contorni rossi. Linosa è un paese pieno di colori che ti accoglie sorridente. Qui non hai la sensazione di doverti difendere da nulla. C’è anche un luogo dove trovano rifugio e riparo le tartarughe ferite: è il Centro di recupero della Caretta-caretta, tartaruga marina che depone le uova su quest’isola. Speedy e Hope sono i nomi dei due esemplari che abbiamo visto in cura presso il Centro. Presto, ci dicono, saranno pronti per la corsa verso il mare e io gli auguro di arrivare fino in Cile, come altre tartarughe partite da qui e riavvistate poi così lontano! Hope è la più piccola, ha solo un anno. Ci hanno detto che solo una su mille riesce ad arrivare all’età adulta. Hope ha un bel nome, per me ce la farà.

giovedì 16

“Forse, domani”. Così la pensano quelli che vivono sulle isole. Che si tratti del giornale, della frutta o della benzina, bisogna aspettare e vedere cosa porterà la prossima nave che arriva. Se arriva.

Forse è un modo di pensare che poi diventa anche un modo di stare al mondo in cui l’unica cosa certa è l’incertezza e proprio per questo non c’è motivo di darsi pena. Il giornale di ieri qui viene venduto come se fosse quello di oggi.

Oggi saliamo alla Montagna Rossa e dopo sul Monte Vulcano. Dalla cima si vede tutta Linosa, un francobollo di terra tutto coltivato in mezzo al mare.

Dopo abbiamo fatto il bagno alle Piscine: un pezzo di mare che è rimasto imprigionato nella scogliera, una culla di acqua calma e ospitale. E’ pieno di pesci e ci sono colori ed effetti di luce straordinari. La natura è sempre sorprendete, quando toglie e anche quando dà.

Quando non camminiamo leggo Izzo: Fabio Montale mi ha rapito e penso che un giorno vorrei andare a Marsiglia. Cri è lontana, Izzo me la ricorda e me la rende in qualche modo più vicina. Davide è un tocco lieve nella mia vita, un amico che fa bene ed è qui vicino a me. Da questo pezzo di Sud che è quasi Africa, penso a quanti Sud ci sono nella mia storia: i viaggi, le persone, i sapori che amo.

I bambini qui si chiamano Salvo, Laerte, Gaetano. Quando scendiamo al paese nel pomeriggio, sono tutti in strada: gli uomini, le donne, i bambini. Uno cicciottello che potrebbe avere otto anni fa piangere la nonna chiamandola “puttana”. Ci sono anche delle ragazzine, sedute in fila su un muretto: parlano piano tra di loro e ridono, emozionate e complici, come se scambiassero segreti. Gli adolescenti sono uguali al sud e la nord.

venerdì 17

Abbiamo messo le sveglie alle sei stamattina. Dobbiamo prendere l’unica nave che ci può riportare a Lampedusa per ritornare. Un gallo canta insistentemente. Il paese è addormentato quando lo attraversiamo camminando verso il porto e penso a Salvo, Laerte, Gaetano e anche al bambino cicciottello. Ora dormono nei loro letti come angeli. Mi chiedo che cosa faranno da grandi su quest’isola. Quale vento li accompagnerà, forse andranno via o forse tutta la vita staranno qui a pensare “forse, domani”.

Sul piccolo molo da cui partirà la nave c’è anche gente del paese ad aspettare: chi viene e chi va. Siamo tutti lì in una mattina di estate con gli occhi rivolti al mare.

Ci resta questo ultimo giorno: voglio tornare là, alla spiaggia dei Conigli per prenderne un pezzo da tenere dentro per sempre.

sabato 18

Parte per tutti oggi un aereo. Il mio alle 16,00. I giorni dei saluti non sono come tutti gli altri giorni ed è più difficile raccontarli.

C’è sempre per fortuna nei momenti delle partenze qualcosa che ci tiene occupati: un bagaglio da preparare, un biglietto da cercare, un orario da controllare, un ultimo piccolo acquisto da fare… Gesti concreti, di poco conto, per stare attaccati alla vita.

Mariavittoria Vecchi