Le parole sono importanti

La parola trekking è superata. Invitiamo tutti ad abbandonarla, o a farne uso limitato, sostituendola con la parola cammini. Perché?

Quando iniziammo a usare la parola trekking, negli anni ottanta, un senso ce l’aveva. Era per distinguersi dall’escursionismo tradizionale. Per descrivere il nuovo stile, il nuovo bisogno, di mettersi in cammino per più giorni, almeno quattro, nella natura selvaggia, senza per forza avere l’obiettivo di scalare montagne, ma facendo traversate, spesso con mezzi selvatici, dormendo in tenda, cucinandosi in autonomia.

Luca Gianotti
2 maggio 2013

Mentre tutti pensano sia una parola inglese (anche Wikipedia è impreciso su questo, poveri noi), il termine trekking viene dal boero, la lingua parlata dai sudafricani colonizzatori, i bianchi di origine olandese. E descriveva lo spostamento di uomini (i Voortrekker) per molti giorni con carri trainati da buoi, transumanze migratorie di famiglie alla ricerca di nuove terre, a metà ottocento, ricordate con l’espressione di “Groot trek”, grande marcia.
Ma di questa definizione originaria, e del suo utilizzo contemporaneo, si è persa traccia.
Il primo slittamento semantico è stato causato da motivi commerciali: si è cominciato ad affibbiare la parola trekking a tante cose diverse, a usarla in pubblicità, ricordiamo la Fiat, con “trekking light, illumina i pesciolini” o sempre la Fiat con la Panda Trekking…

Altro slittamento semantico fu dovuto alla pigrizia: camminare per dieci giorni consecutivi in mezzo alla natura è faticoso, farlo per 3 giorni lo è meno, farlo per poche ore anche meno, per cui piano piano trekking è venuto a indicare una semplice passeggiata. Ecco che è nato pure il trekking urbano… Al pari di definire alpinismo una facile ferrata. Slittamento semantico da semplificazione pro domo nostra.
Il dizionario Sabatini Colletti definisce così trekking: “Escursione turistica che si compie a piedi su percorsi poco agevoli, perlopiù in zone di montagna”. Se è solo questo, chiamiamo queste passeggiate escursioni, come si chiamavano prima!

Intanto, mentre la parola trekking veniva svilita nei suoi contenuti, si affacciava alla ribalta un nuovo modo di camminare, più attento ad aspetti profondi, all’interiorità, all’incontro con lo spirito dei luoghi, con le persone. È iniziata la grande rinascita del Cammino di Santiago e delle altre vie.
Per questo riteniamo sia giunto il momento di mettere in soffitta la parola trekking e sostituirla con la parola cammini. La Compagnia dei cammini non a caso ha scelto questo nome.
E poi, diciamocelo, la parola trekking è cacofonica, ed è pure una parola straniera di scarso significato, che può benissimo quasi sempre essere sostituita con una parola italiana pregna di significati, di assonanze e di musicalità.

Il cammino.

Il cammino non sarà mai una parola che la pubblicità userà a suo fine e consumo. Perché richiama piuttosto cammini interiori, spiritualità. Il cammino dell’uomo.
Ecco perché invitiamo tutti a fare uno sforzo culturale, diffondendo la cultura dei cammini, e lasciando alla pubblicità il verbo trekking.

Luca Gianotti

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