[L’opinione di Guido] Dubbi e generatività

Dubbi? Sono il sale della terra. Almeno per continuare a pensare… con la nostra testa. Mi ha molto colpito, ma non stupito, l’articolo di Elena Bonciarelli sulla rivista di psicologia Babele, numero monografico sul Covid 19. Lei è una psicologa di RSA, casa di riposo insomma. Riferisce di due casi di anziani “morti di coronavirus”, già molto malati, come in genere gli ospiti di queste strutture. Una signora aspettava con ansia la quotidiana visita del marito che la teneva a lungo per mano; e un signore in una situazione analoga con i nipoti. Il primo provvedimento per contrasto contagio è stato negare la visita parenti. Bonciarelli ha osservato che nei giorni seguenti entrambi sono caduti in una profonda depressione, fino alla morte. Certo, il virus ha dato il colpo di grazia, ma è del tutto evidente a ogni persona di buon senso che la vera ragione dei decessi è il lasciarsi andare di fronte a una deprivazione affettiva primaria. L’85% dei morti di questa pandemia in Italia sono stati grandi anziani con polipatologie, la gran parte nelle case di riposo. L’ABC della psicologia moderna, che sta alla base della teoria dell’attaccamento, è un esperimento fatto con due gruppi di giovani scimpanzé, che avevano a disposizione un boccaglio per il latte e una striscia di pelliccia. A un gruppo è stata tolta la pelliccia. Ebbene, i componenti di questo gruppo “senza contatto corporeo” si sono lasciati morire, pur potendo disporre del nutrimento latte. Così ci comportiamo noi mammiferi. La signora della casa di riposo sarebbe morta comunque, e con lei le migliaia di altri anziani morti nella sua condizione, anche senza coronavirus, solo per la mancanza di quella mano che tutti i giorni la incoraggiava. Mi chiedo, nel comitato tecnico scientifico che ha diretto e sta dirigendo questa crisi è presente una voce della psicologia? Evidentemente no, la tecnica al primo posto! E le parole degli psicologi? Inesistenti, chiusi nel loro mondo, impotenti nel farsi ascoltare… non è ora di svegliarsi? Guardate che è gravissimo ignorare questi aspetti. Valutare solo la faccia della medaglia degli algoritmi epidemiologici e del numero di tamponi, senza considerare la soggettività di chi viene attaccato dal virus, che determina l’avere o meno delle buone difese immunitarie, porta a una visione e gestione ossessiva e paranoica, disumanizzante e senza vie di sbocco. La nostra vita tornerà normale quando l’ultimo coronavirus sarà scomparso? Fino all’arrivo del prossimo, ovviamente. I politici, che dovrebbero decidere per il bene comune, sono totalmente succubi delle voci unilaterali dei tecnici. Che importa che intanto l’economia sia stata mandata a quel paese. Tutto chiuso. Come sono state chiuse ai parenti le case di riposo. Così si sta creando un numero di depressi e incazzati, che molti esperti segnalano porteranno un numero di malattie e morti superiori a quelle dell’epidemia virale. Ad esempio, i cardiologi (e sappiamo il legame fra stress e malattie cardiovascolari) hanno già documentato che in questi due mesi è triplicato il numero di infarti, che oltretutto sono malcurati visto che le strutture sanitarie sono monopolizzate dal contrasto virale. Numero di decessi? Identico a quello da coronavirus. E i decessi in un anno in Italia per infarti e ictus sono 240 mila (dati di Repubblica). E gli oncologi lanciano lo stesso allarme. E… e… e… Perché ci sia stata, e perseveri, una totalizzante attenzione alla pandemia, scordando la complessità della società, forse è presto per dirlo. Il dubbio che a qualcuno, i potenti, faccia comodo un mondo con distanziamento sociale e, con una scusa permanente di emergenza sanitaria permanente, impostazione autoritaria nella gestione dei problemi, mi rimane nella testa. E mi preoccupa. A voi no?

Generatività.

Nella trasmissione dedicata ai libri su Rai 3 “Quante storie” dell’11 maggio, riguardabile su Rai play, un economista e uno psicologo discutono sulla felicità. Che è il parametro di riferimento, tra l’altro, per la nostra salute. Una persona felice, una società felice, è molto molto molto più resistente alle malattie. Ma qual è la ricetta della felicità? Tolta l’ovvia soggettività, studi recenti propongono il termine “generatività”. Il solito parolone, ok. Traduciamolo. Generativo… saper generare… cioè avere dei progetti vitali. Viviamo meglio, siamo più felici, se coltiviamo progetti. Educhiamoci a questo. Il senso di morte lo si vince facendo nuovi progetti. Ad esempio, la psicologia ha rilevato che se a una persona gravemente depressa diamo come compito quotidiano quello di prendersi cura di un animale o di una pianta… ne esce prima. Dobbiamo saperla questa cosa. Non serve a niente rimuginare le questioni, cercare razionalmente soluzioni miracolose a situazioni altamente complesse. Occorre muoverci un passo alla volta, concentrandoci sulla nostra parte creativa e immaginativa. Ognuno di noi ha in sé la potenzialità di portare il proprio contributo al nuovo mondo che verrà. Come minimo, abbiamo il dovere di prenderci cura della nostra salute. Della nostra felicità. Della nostra “generatività”. Delle nostre curiosità, come i saggi hanno sempre connotato finora la voglia di vivere.

Guido Ghidorzi

4 giugno 2020