Presepe 2015

Rosanna e Mario sono soci affezionati della Compagnia dei cammini, e dopo un sogno hanno deciso di ambientare il loro presepe di quest’anno nella Palestina dove hanno camminato con noi a marzo. Ecco il loro presepe, augurio di pace, per noi è il presepe più bello, li ringraziamo molto! Nella sabbia ci sono le loro impronte, non si vedono, ma basta immaginarle...

Redazione CdC
27 dicembre 2015

Lunedì 9 marzo 2015

……………… arriviamo a Betlemme e più precisamente al Phoeniq hostelpresso il campo di Deheishah, depositiamo gli zaini e usciamo per un tour delcampo con Atallah Salem, responsabile e coordinatore dell’associazione per idiritti dei residenti e rifugiati palestinesi. Con lui ci incamminiamo per lestrette viuzze di questo campo profughi palestinese situatoa sud di Betlemme, saliamo sulle terrazze che fungono da tetti e da lì lo sguardospazia a 360 °, in lontananza scorgo la brutta cornice grigia del muro.

Ilcampo ospitava nel 1949 oltre 3.400 palestinesi provenienti da 45 villaggi aovest di Gerusalemme e Hebron fuggiti durante la guerra arabo-israeliana del 1948.

Inizialmente i rifugiati vivevano in tendopoli. Verso la finedel 1950 l’UNRWA, un’agenziadell’ONU ha iniziato a costruire unità abitative modello container. Visto ilproseguire della situazione di emergenza che costringe i palestinesi a nonpoter rientrare nelle proprie case, spesso distrutte da interventi militari israeliani, molti residenti del campo hanno cominciato acostruirsi autonomamente delle abitazioni e non avendo altra terra adisposizione si sono potuti solo aggiungere più piani in altezza.

Oggi risulterebbe una popolazione di circa 14.000 persone che vivono veramente in spaziminimi, Deheishah è il quarto campo profughi più grande di tutta laCisgiordania.

Atallah ci racconta tanti aneddoti della sua vita legata aquesto luogo dove lui è nato, ogni angolo e ogni pezzo di muro testimoniano laresistenza non violenta con targhe o ritratti di persone morte come martiri insituazioni davvero dolorose. Mi colpisce una grande chiave nera disegnata su unmuro che è divenuta simbolo della porta della propria casa forzatamenteabbandonata dopo l’occupazione e ‘Andala’, il bambino-fumetto palestinese che guarda il dramma della propria terra voltando le spalle allettore.

Nonostantela vita davvero difficile della gente di questo campo profughi, per strada ibambini numerosissimi giocano allegramente e ci corrono incontro cercando didialogare con noi. Sembra strano ma le case sono talmente vicine che le stradefungono da cortile e nessun adulto sorveglia il gioco dei bimbi, i più grandisono spontaneamente responsabili dei piccoli e all’occorrenza una delle mammeinterviene per conto di tutte le altre.

Mentre ciavviamo all’ostello, Murad ci racconta che il 26 maggio 2014 Papa Francesco si è recato in visita alcampo profughi di Deheishah durante il suo viaggio in Israele e Palestina e proprio all’ostello è stato accolto dai bambini della scuolaelementare che hanno cantato per lui una canzone che Murad ha insegnato loro eil Papa è stato molto contento.

Sabato 14 marzo 2015

Oggi èil nostro ultimo giorno di cammino e per la sera siamo invitati da Ya’alah eNethanel, una famiglia ebrea, per la chiusura dello Shabbat. Personalmente sonocuriosa di conoscerli ma un pochino intimidita dal fatto che entriamo in tantiin una casa e temo di disturbare la loro intimità.

Sappiamoche durante lo Shabbat, ovvero dal sorgere della prima stella del venerdì alsorgere della terza stella del sabato, gli ebrei osservanti non eseguono lavorimanuali di nessun tipo, ad esempio non cucinano e non spengono nemmeno le luciche restano accese sia di giorno che di notte.

Riceviamouna bellissima accoglienza, ci accomodiamo nel salotto dove ci attendeun’ottima merenda, evidentemente la squisita torta al cioccolato è statapreparata il giorno prima e per la tisana c’è un bollitore sempre acceso.

Ya’alahe Nethanel ci raccontano la loro esperienza, hanno un tono di voce molto pacatoe trasmettono una sensazione di pace. Rispondono volentieri alle nostrenumerose domande e ci fanno sentire davvero in famiglia. Il tempo passa infretta e all’apparire della terza stella in cielo ci prepariamo per lapreghiera che recitano in ebraico. Spiritualmente mi unisco a loro e micommuovo al pensiero che preghiamo lo stesso Dio in lingue diverse ma possiamochiamarlo tutti Padre. Seguono quindi i gesti che concludono lo Shabbat: dopola benedizione ci passiamo di mano in mano dapprima un cedro nel quale sonoinseriti dei chiodi di garofano e ne odoriamo il profumo, poi la candela accesae quindi il calice col vino che assaggiamo tutti. Il significato è formulato inquesto augurio: “che attraverso lo Spirito (il vino) possiamo portare la Luce(candela) e il Profuno (cedro) di Dio a chi incontriamo e che possiamo goderedi una buona settimana. Notevoli le similitudini con la simbologia cattolica!

8dicembre 2015

Ho fatto un sogno: cammino con tante persone,abbiamo lo zaino in spalla e cantiamo, qualcuno accompagna il nostro cantosuonando un piccolo strumento a corda, forse un’arpa. Sono a Betlemme, unaparte del muro è caduta e non dobbiamo passare il ceck point perciò loattraversiamo e seguiamo un piccolo sentiero indicato da un cartello a forma dicometa.

Quanta gente…. Sono palestinesi e israeliani,giovani e anziani, tutti insieme si tengono per mano e ballano intorno ad unapiccola casa diroccata forse costruita con pezzi di quel muro distrutto. Riescoa farmi largo in questa folla allegra e li vedo…. una giovane mamma ed il papàsuo sposo col loro bimbo che pur piccolissimo sorride mentre mi guarda.

Guardo la folla, le bandiere vicine efinalmente comprendo, è sicuramente arrivata la Pace. Sollevo quel bambinello,me lo stringo al petto e mentre gli accarezzo la testina e lo bacio teneramentegli sussurro: grazie AMORE.

Rosanna e Mario

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