Una bella volta... magica Majella 2008

La piana si apre maestosa davanti a noi, nella sua generosa distesa di ampi pascoli lancia il profilo della Majella lassù in alto, fino a toccare il cielo, fino a confondersi con le nuvole. L’attacco alla prima montagna, il Porrara mette subito alla prova, affonda il peso dello zaino fin dentro i pensieri, li disturba, affatica il passo ancora incerto in cerca di leggerezza. In cima lo sguardo vaga a 360° sul gruppo del Gran Sasso, il Velino, il Matese, e ancora gli aridi profili della Majella Madre, privi di vegetazione ma sempre morbidi che traggono in inganno sull’anima della montagna. Il giorno successivo scaliamo le ripide valli e i versanti pietrosi fin su a Femminamorta, accolti da paesaggi lunari, capaci di ospitare solo piccoli e molteplici fiori che si affrettano a vivere le loro stagioni prima che il freddo imponga nuovi letarghi: stelle alpine, viole della Majella, fiordalisi, non ti scorar di me alpini, offrono al nostro cammino petali che sembrano sorrisi. La notte scorre dentro il rifugio Pelino, circolare e accogliente mentre fuori, il vento sibila e rumoreggia.

Siamo sulla cima più alta, a quota 2793 metri del monte Amaro. L’alba successiva è cupa e il paesaggio di pietre chiare avvisa imminenti piogge.

La montagna madre ha una carattere difficile, la grandine che ci investe avvisa, sposa umiltà e timore, ripiega, su sentieri meno alti, le nostre ambizioni.

Così, serpeggiando, scendendo lungo la Val Cannella, la Valle Macchia Lunga e infine Valle Santo Spirito, incontriamo il pastore Domenico e il suo asino. In poche parole scambio di generazioni, di esperienze, di vite diverse; intorno si alzano le pareti ripide e rocciose. Fara San Martino è silenziosa e ospitale e nel suo ostello troviamo voglia di cucinare fra di noi e imparare a bastarci gli uni agli altri. Poi a nuovo giorno saliamo ancora fino a monte Cavallo accompagnati da splendidi panorami, e lassù bivacchiamo. Dalla piccola apertura nel mio sacco a pelo si alternano cieli pieni di nebbie, nuvole, luna, gocce e infine alba. Riscendiamo sull’eco delle parole del pastore Paolino, scrittore e fiero personaggio che ha imparato il valore della sua esperienza, la pace di un sorriso generoso e infantile nonostante i suoi anni, tanti. E’ la prima persona che incontriamo insieme alle sue galline che lo seguono devote, nel paesino di Decontra. Poi ospiti del figlio Camillo e di Marisa, assaggiamo il sapore vero di queste valli, crinali, e vette. Il gusto profondo delle cose fatte da se, con l’amore, la passione e la fatica, raccolte e cucinate, fresce e genuine. Il giorno successivo lo zaino non pesa più, il passo è diventato leggero, la mente lieve, serena; assaporo ed elogio la semplicità, metto il cammino come unico obiettivo dentro le ore del giorno e dopo resta la pace, il silenzio, i pensieri puliti. L’ultima notte è stellata, gioiosa, umida ma vera, di odori, rumori, respiri, desideri. Sento il piacere della libertà, la fierezza di una vita semplice eppure ricca, seduto nell’erba di un pascolo, prossimo ai rami di un faggio. All’alba, Luca ci aiuta a costruire cerchi di pace intorno al nostro cammino, al nostro viaggio; un piccolo dono per lasciare un messaggio umile ai profili alti della montagna, per comunicare gratitudine e umiltà e accarezzare con amore la sua grande magia e generosità.

Iuri Pagliai

Redazione CdC
10 marzo 2011