Mi chiamo Said e sono nato nel Sahara algerino da una famiglia di pastori nomadi che in seguito si è stabilita nel villaggio di M’hamid, nella valle dell’Uadi Draa a sud del Marocco, abbandonando l’allevamento dei dromedari per coltivare palme da datteri. La mia mamma proviene dal Mali, dove abbiamo ancora molti legami, mentre il babbo è un Saharawi di lontane origini siriane. Il nostro è un clan accogliente, gioioso e unito.

Sono cresciuto nel deserto, che amo profondamente, e mi piace farne scoprire i segreti ai visitatori più sensibili e rispettosi della natura: piante, fiori, impronte di animali sulla sabbia, resti di antichi insediamenti, piccoli fossili e incisioni rupestri. Ho molti amici nomadi che ancora vivono in assoluta libertà e come loro amo dormire sotto le stelle che ben conosco e che utilizzo per orientarmi dove non vi sono altri punti di riferimento. Dai maestri, anch’essi nomadi, che mi hanno insegnato a scrivere e far di conto, ho appreso l’arabo classico, il francese e l’amore per la musica e la letteratura. Io stesso scrivo e una mia poesia ha vinto un premio letterario ed è stata pubblicata in Arabia Saudita.

L’impegno civile è per me molto importante, anche per questo collaboro ogni anno all’allestimento del festival di M’hamid e sostengo il diritto del popolo saharawi di vivere libero e di conservare i propri usi e costumi, così come quello delle popolazioni delle oasi a non essere private dell’acqua e della possibilità di mantenere le proprie coltivazioni tradizionali. Ho una lunga esperienza come guida turistica e, benché il mio habitat naturale sia il deserto, sono anche un ottimo conoscitore della costa atlantica e delle montagne dell’Atlante, in particolare della provincia di Azilal, dove si trovano le cascate, le gole e le grotte dell’Uadi Ouzoud.

Vi aspetto per camminare insieme, sulle tracce dei nomadi e delle popolazioni berbere e lungo le affascinanti spiagge dell’oceano, qui in Marocco.

Interviste

Siti

Video

  • Video-intervista di Said (da Luca Gianotti, con traduzioni di Marina Pissarello. 5’30).